Non bisognerebbe recensirlo un disco che ti sta attaccato alla memoria come un polpo allo scoglio, di quelli che lo riascolti e ti si stende uno squarcio sul cuore, non si dovrebbe fare, non è onesto. Ok facciamo così, non lo voto, solo due chiacchiere, una e due.

Il lontano 1999, le discussioni davanti a una birra, e a un tempo più sterminato di adesso. Uno di quei parlare di musica. Di dischi, per la precisione. Si diceva dell'incipit dei dischi, delle migliori "first tracks". Rinvenivo dai fumi, giusto il tempo di dire la mia (avevo in serbo un onnipresente Kyuss e un Miles Davis a sorpresa), ma fui bruciato sul tempo da una citazione ben più cosmopolita di un compagno di merende di ritorno from London: li conoscete i Czars? Lo pronunciò all'americana, come Caesars. Fu un colpo di scena, e un colpo basso, anche. "Before but Longer", sarebbe uscito infatti in Italia solo un anno dopo. Fu allora che lo feci mio.
Non essendo la presente una recensione, vi dico giusto che il tutto nasce nei bassifondi di Denver, attorno alla narcotica voce di John Grant, l'ispiratissimo basso di Chris Pearson, e l'anima di Buckley padre (celebrato da una una splendida cover di "Song to the Siren" qualche anno dopo, ma questa è un'altra storia). Insomma, The Czars, gli zar, o i Cesari, che poi è uguale.

Ancor meno scriverò di "Before but Longer". Per dare un'idea, scomoderò l'aggettivo "trasognato", che non avrebbe ragione d'esistere se non fosse abbinato a questo disco (mi chiedo infatti cosa ci facesse nei dizionari pre-1998). Profondissima l'acustica, abissali i toni, aeree le melodie, magicamente estratte dal quel magma informe che contiene, in potenza, tutta l'arte.

Qualcosa ancora: era vero, le prime tracce, "Val" e "Concentrate" sono davvero magnifiche, ma il resto pure. Uno sciabordio di suoni, che riaffiorano e sfuggono alla memoria, è così che va, pare.

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