Tutto nacque dall'Hardcore: come spesso accade a chi vuole proporre musicalmente forza sopra le righe e attitudine "Border Line", la storia dei Dillinger Escape Plan comincia da quel conato intransigente di furia cieca sulla quale i Nostri genereranno un sound particolare e sfavillante che farà rumore da lì a pochi anni.
1996: cinque scavezzacollo, Dimitri Minakakis alla voce, Chris Pennie alla batteria, Ben Weinman e Derek Brantley alla chitarre e il bassista Adam Doll infiammano North, New Jersey, sotto il moniker Arcane. Fin da subito è l'attitudine l'arma in più: la resa live degli Arcane è già di fuoco e tutto ciò contribuisce non poco il passaparola che si alimenta e s'ingrossa ad ogni nuovo concerto della band. Inevitabili i primi interessamenti di un'etichetta: La Now or Never Records infatti li accoglie sotto la sua ala protettiva per far incidere loro le sei tracce della demo omonima "The Dillinger Escape Plane" (1997); eh si perché nel frattempo la band cambia nome e acquisirà quello odierno. Pochi gli anedotti in merito, per certo si sa invece che sempre dello stesso periodo è la dipartita di Brantley, rimpiazzato da John Fulton proprio appena prima del Tour. Le cose cominciano a farsi realmente serie proprio in questi frangenti; non si sta più parlando di un gruppo di amici che mette su un complesso a scuola, il tour in questione datato 1997/98 è la prima delle consacrazioni della band; I concerti sempre più "distruttivi" ed una certa evoluzione dal suono tipicamente Hardcore delle origini, fanno il paio con le orecchie drizzate di un "emissario" della Relapse Records che rimane fulminato e propone loro un contratto. Nello stesso anno (1998) vede la luce "Under the Running Board".
Una mazzata dietro le spalle. A tradimento. Un'aggressione che non ti aspetti e che colpisce per la velocità di esecuzione e l'efferatezza. Questo in poche parole il mini in questione. Tre tracce che scorrono via in cinque minuti ma che lasciano impressionati per la perizia con le quali il quintetto imbraccia gli strumenti e stupisce. Il minuto e cinquanta di "The Mullet Burden" è la congiunzione tra Hardcore e Grind via jazz/fusion e bolle di follia: stop and go sonici, break fulminanti e urla femminili come in un film horror. Non ti accorgi neanche di essere passato ad una magniloquente "Sand Box Magician", e infatti il pezzo non si distingue più di tanto dal precdente. Ennesimo episodio ultra tecnico ma di certo non tra i memorabili della discografia Dillinger. Più variegata invece "Abe the Cop", con i suoi assassini saliscendi ritmici da capogiro, mini break assolutamente distaccati dal contesto e brutalità disturbante.
Insomma ep di consolidamento. Una certezza.
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