"If I'm to die then let it be in summertime / in a manner of my own choosing / to fall from a great height / on a warm July afternoon..."
Ascolto i Divine Comedy da non molto tempo, appena sei anni circa. E come spesso mi accade quando mi appassiono "tardivamente" ad un gruppo o ad un artista, ho immediatamente cercato i dischi precedenti per colmare la lacuna.
Non so se sia una cosa comune agli ascoltatori "affamati" come me, ma quando accade questo mi focalizzo su quel particolare artista fino a quasi abbandonare tutto il resto della musica che, potenzialmente, potrebbe interessarmi. Nel caso dei Divine Comedy si è trattato di un vero e proprio innamoramento, una di quelle situazioni in cui ti dici "ma come diavolo ho fatto a vivere senza questa musica finora?".
Neil Hannon è apparso nella mia camera sotto la forma di un cd e da quel giorno, ogni due o tre anni, bussa alla mia porta. Ovviamente, lo faccio entrare, si fanno due chiacchiere e si beve un bicchiere di birra, irlandese. E si ride, di gusto. Con "Victory for the comic muse" (che riprende il titolo del loro esordio del 1990, "Fanfare for the comic muse") i Divine Comedy entrano nel sedicesimo anno di una splendida carriera che si è sempre mantenuta su altissimi livelli.
Neil Hannon, factotum e vera mente del progetto, ha cercato nel corso degli anni di contaminare la propria musica (fortemente e dichiaratamente ispirata a Burt Bacharach e Kurt Weill) in maniera diversa e attraverso recenti esperimenti di tutto rispetto: nel 2001 i Divine Comedy escono, prodotti da Nigel Godrich, con "Regeneration". Un titolo programmatico ed un progetto che li porta a cambiare pelle in maniera decisa, per poi tornare ad un disco completamente orchestrale e molto intimo (e splendido), due anni dopo, come "Absent friends". Dedicato, appunto, agli amici che non ci sono più.
"Victory for the comic muse" è il disco della consapevolezza dopo il cambiamento, come se con "Regeneration" Hannon avesse deciso di ricominciare daccapo, una sorta di "difficile terzo disco", che in realtà è il nono.
L'impianto rimane quello "classico" di un pop arrangiato per essere da una formazione non propriamente rock (molti gli archi e i fiati, come sempre). Tant'è che, personalmente, preferisco considerare Hannon un "compositore" più che un songwriter. Tuttavia, anche in questo disco, il nostro amico nordirlandese (che, in barba ai luoghi comuni sulla gente di quelle parti, è di una raffinatezza ed eleganza estreme) dimostra di avere un meraviglioso talento per la "canzonetta" (nel senso nobile del termine) e l'arrangiamento.
Ho ascoltato questo disco per la prima volta andando in bici, in una di queste calde sere di inizio estate. Alla seconda traccia, "Mother dear" mi sono ritrovato a zigzagare in mezzo alla strada (per mia fortuna priva di traffico) come Nanni Moretti in "Caro diario", sperimentando la stessa sensazione che provo da sempre quando ascolto un disco dei Divine Comedy per la prima volta: un gran senso di gioia e di serenità. Un disco dei Divine Comedy è una specie di medicina: se avete avuto una giornata storta, una sfiga o un giramento dei cosiddetti, lasciate che Neil Hannon bussi alla vostra porta, apritegli e offritegli una birra.
Anche nei momenti più malinconici ("A lady of a certain age") i Divine Comedy hanno la capacità di risolvervi la giornata (quindi forse sarebbe meglio ascoltarli a colazione, prima i cosiddetti inizino a girare). Neil Hannon è un genio, in grado di fare pop con orchestre, clavicembali (qui presenti in più di una canzone), oboi e via dicendo, e capace di alternare testi di un'ironia tagliente e divertente (ad esempio "To die a virgin, "Diva lady") ad autentiche poesie ("The plough", "Count Grassi's passage over Piedmont") in cui tratta con disincanto anche temi come la morte.
Capace di scuoterti piacevolmente con leggerezza, ma di smuoverti nel profondo con pezzi emozionantissimi (soprattutto nella parte finale, in cui gli arrangiamenti diventano prettamente orchestrali). E con una voce, non dimentichiamolo, davvero unica. Sopra ogni cosa, il banjo di "Mother dear", gli archi di "A lady of a certain age", il ritornello di "The light of day", il "riff" di violini di "Party fears two".
Bravo Neil. Continua a bussare, ogni tanto. La porta è sempre aperta.
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