I Doobie Brothers sono noti in tutto il mondo Italia compresa soprattutto per merito della famigerata "Long Train Running", evergreen intramontabile in discoteca e pressoché immancabile nella scaletta di esibizione dei complessini che trovano ingaggio nei locali.
In USA sono niente di meno che un'istituzione, tuttora in giro per concerti dopo l'ennesima reunion culminata con un (ottimo) album uscito nel 2003. Promotori di un peculiare crossover californiano di rock, funky, country, rhythm‘n blues, trascinante ed energetico, leggero eppur consistente, commerciale ma raffinato, ahimé sono agli antipodi del gusto medio della vecchia Europa, non abbastanza "pop" per chi si accontenta, non abbastanza "intensi" per chi si impegna.
Io li ho sempre presi molto sul serio, intravedendo chiaramente al di là dell'accessibilità della loro musica una tessitura, un'attenzione, un talento e un impegno forti e degni.
Il significato del chilometrico titolo di questo loro quarto lavoro datato 1974 si spiega colla sua pubblicazione a valle del grande successo del precedente "The Captain & Me" contenente gli hit "Long Train Running" e "China Groove". Malgrado la bella foto on stage nella copertina non è un Live bensì una normale raccolta di dodici tracce incise in studio, in formazione inconcepibile da noi, ma non nell'esotica America con due chitarre, basso e ben due batterie.
I chitarristi, doppio centro focale del gruppo nei loro ruoli gemelli di cantanti e compositori, si chiamano Tom Johnston (quello con la peculiare voce acuta e nasale. . . si! quella di "Long Train Running") e Pat Simmons, cantante anche migliore seppur meno caratteristico. Strumentalmente danno il meglio in fase ritmica e di accompagnamento, in particolare Tom con grandi riff stoppati sull'acustica, pieni di funky e di vigore, mentre Pat è da considerarsi addirittura un virtuoso della chitarra acustica, che arpeggia con i ditali di ferro fissati alle dita alla maniera country, adottando tutta una serie di accordature non ortodosse che rendono creativo e personale in sommo grado il suo lavoro. Due maestri quindi, Tom riguardo lo strumming della mano destra e l'efficacia e comunicativa, nella semplicità, dei suoi "giri", Pat per agilità, classe e personalità di esecuzione. Impegnati all'elettrica invece entrambi hanno idee più ordinarie e tradizionali.
Tenendo come denominatore costante l'easy listening caratteristico della Baia di San Francisco loro luogo di provenienza (e a proposito del quale è necessario non avere preconcetti per riuscire a gustare questo gruppo), "Quello che una volta erano nostri desideri ora sono nostre abitudini" serve una collezione di pezzi che propendono ora per il rhythm & blues con tanto di sezione fiati (l'apertura "Song To See You Through" e più in là "You Just Can't Stop It"), ora per una sorta di funky-country agile e pieno di cori ("Spirit" piena di stop&go ad esaltare l'incastro ritmico fra l'acustica di Johnston e l'elettrica di Simmons, e poi "Eyes Of Silver"), non mancano momenti autenticamente rock'n'roll di pura elettricità ("Down In The Track" aperta da un'incredibile, interminabile, geniale rullata di ingresso di batteria tutta in levare di John Hartman, e "Road Angel" con un botta e risposta fra le chitarre soliste modello Lynyrd Skynyrd), immancabili poi le ballate romantiche ("Tell Me What You Want And I'll Give What You Need" e così nel titolo ci hanno infilato tutto il ritornello. . . e poi "Another Park Another Sunday").
Su tutti il capolavoro "Black Water" un country gospel irresistibile che si sviluppa in un finale "a cappella" con trascinantissimi intrecci di cori, del tipo di quelli che rendono le Sante Messe da quelle parti molto più allegre e riuscite delle nostre. A suo tempo fu un Number One in USA e non c'è americano che non la conosca.
Un gruppo con il quale bisogna andare al di là dei singoli, degli episodi più sfruttati e banali, del poco che inevitabilmente si ricorda, e cercare nella loro vasta discografia le tante "perle" misconosciute.
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