Queste poche incisioni testimoniano come il sound del progetto The Ecstasy of Saint Theresa - dalle sgarbate sonorità shoegaze, noisy e in bassa fedeltà degli esordi, verso quelle ambientali et sintetiche che li hanno accompagnati fino ad oggi - sia mutato progressivamente, ma, ahimè, nel giro di pochissimo tempo.
Progressivamente perché evidentemente le intenzioni c'erano, ma nel giro di poco tempo, drasticamente, in quanto la storia vuole che nel 1994 qualcuno entrasse in casa EOST e rubasse tutti gli strumenti costringendo la mente della band, Jan P. Muchow, a comprare un vecchio computer col quale iniziare a comporre musica elettronica.
Le chitarre non vengono ancora accantonate del tutto, anzi, non vengono accantonate per nulla, ma la loro irruenza diventa percepibile solo ad intermittenza. Solo negli "incisi" si ritrova, in parte, la nostalgica impetuosità che aveva caratterizzato l'ottimo EP "Pigment" due anni prima.
Aumenta l'uso dell'effettistica, di riverberi, echi e suoni elettronici che si amalgamano in un ipnotico drono di tintinnii accompagnanti l'eterea voce di Irna Libowitz, un tempo più decisa e accattivante. Anche la cadenzata ritmicità delle percussioni si limita a rievocare i tempi che furono esclusivamente nei punti culminanti dei brani.
Un disco che compensa la veemenza delle prime sonorità con le sperimentazioni ambientali che nel tempo avrebbero disperso, ad avviso di chi scrive, la reale essenza della peculiarità di una band-istituzione appartenente ad un movimento, quello shoegaze, capace di trasfondere una piacevole malinconia esistenziale all'ascoltatore.
Un punto d'incontro, di fusione, uno spaccato in sfumando delle due facce di una band, forse smarritasi, i quali gloriosi esordi sono oramai troppo spesso dimenticati.
Tracklist:
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