"Piuttosto che forzare un flusso fino ad oggi naturale ed autosufficiente, decretandone la definitiva aridità, preferiamo dividerci e seguire ognuno la propria strada, senza rimpianti per il passato e consapevoli che questo futuro è la logica conseguenza delle nostre attitudini”.
Ecco come, il 13 febbraio 2006, il sito degli Shandon ufficializzava lo scioglimento della band; ovviamente, questa è solo una piccola parte del comunicato, ma è quella che ritengo più onesta, diretta e dolorosa per chi li seguiva da tempo. Così è successo: gli Shandon hanno preso ognuno la propria strada, cercando altre direzioni a quel flusso ormai inaridito, Andrea (basso) ha continuato con i Melloncek, Marco (chitarra) con i Corni Petar, e Olly (chitarra e voce) ha formato, insieme ai Madbones, i The Fire, il cui album intitolato “Loverdrive”, è uscito nel 2006.
Opera prima di questo gruppo è energica e punta dritto all’orecchio e al cuore dell’ascoltatore, senza mezze misure; scordatevi lo “ska core” degli Shandon, mantenete il “core” se volete ma qui di ska non ce n’è nemmeno un briciolo; forse, se avete ascoltato “Sixtynine” (ultimo lavoro in studio degli Shandon risalente al 2004), vi potete aspettare un album del genere, ma la cosa migliore è non cercare assolutamente il passato di Olly nel suo presente. “Loverdrive” scorre magnificamente per 40 minuti, la musica dei The Fire è un rock che sa essere duro e potente con tinte hard come in “Waitin 4”, “One Way Train”, “Ixis” e “Big Brother”, con forti e accattivanti melodie come “Emily” (le sue prime parole quasi urlate «Faster faster flirtin’with disaster» sembrano spezzare nettamente il ritmo della prima track “Loverdrive”), “Suicide Girl” e “Best of the World”, ma soprattutto sa essere struggente e dolce nelle due ballads, “Unwish” e “Remedy”, quest’ultima a chiusura dell’album. Da tenere in considerazione è la cover di “Small Town Boy” in cui i suoni elettronici dei Bronski Beat sono rimodellati dal rock, il risultato è stupefacente: inserendo delle belle chitarre, distorte e potenti quanto basta, vengono esaltati il ritornello e la melodia, la canzone, così, assume un nuovo fascino.
Olly è in grande spolvero, la sua voce mezza angelica e mezza diabolica ben si addice ai momenti veloci ma anche a quelli lenti di questo disco; anche le parti cantate da Andre, il chitarrista, non sono niente male. Un rock, come già detto, capace di essere potente, forte, energico e melodico ma anche malinconico e struggente, una musica che scorre lasciando buone impressioni a fine ascolto. Vi si possono trovare affinità coi Foo Fighters e tracce degli stessi Shandon, ma è brutto imbrigliare tutto in un genere e magari trovare similarità: ogni gruppo ha la sua personalità (oltre che la sua sonorità) e quella dei The Fire è davvero coinvolgente, così coinvolgente che, dopo averli ascoltati, ho sentito colmarsi dentro di me il vuoto lasciando dagli Shandon... non del tutto, ma un poco sì.
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