Nel sogno l'oro antico si è rivelato nuovo, l'amore per il beat e il r&b è una brace che cova sotto la cenere che dà l'impressione di un fuoco spento. I Fleshtones l'hanno invece tenuto vivo per cinque anni di grane contrattuali attizzandolo con  la loro dimensione più giusta: quella live. 

Questa è fede pura: 1982 e il nuovo disco esplode irrefrenabile come la primavera ogni santo anno su questo pianeta ormai impazzito. E' sempre stato così, dal tempo del giovane cavernicolo ipnotizzato dal ritmo tribale dei tamburi a quello del biker innamorato dal rombo della sua nuova Harley. Le tremolanti sei corde della chitarra di Keith Streng danno l'avvio al toga party , cosa meglio del Farfisa di "I gotta chance my life" o di "Stop fooling around" può far ballare quell'invasato di Bluto Blutarski? I Fleshtones risplendono all'interno di un garage adibito a sala da ballo e il beat di "Hope Come Back" ci accompagna mentre attraversiamo una folla ondeggiante fin quando i nostri occhi incontrano altri occhi e scoprono di appartenersi.

Peter Zaremba con il suo ciuffo ci appare come il fratellone che incoraggia a far casino con " The Dreg". Proprio il casino che il giorno dopo ci procura un gran mal di testa al risveglio che ci vede con  addosso  il pigiama a strisce  bianche e blu  mentre siamo alle prese con il cartone di succo d'arancia che scioglierà la bocca impastata . Allora per metterci di buon umore abbiamo bisogno di un beat serpeggiante come "Let's see the sun", tanto per provare a capire che forma avranno gli alberi oggi e che odore avrà il vento. Ma con i Fleshtones non c'è da preoccuparsi, sono ottimi musicisti che valorizzano il passato e ce lo porgono sotto forma di un rhytm & blues ("Ride your pony") o una ballata country beat ("The world has changed") che si intensifica gradualmente come il traffico nell'ora di punta. Forse l'attesa è più importante del momento finale e l'ora di pranzo passata alla "Chinese Kitchen" con l'armonica di Zaremba a soffiare sul fuoco dell'impazienza ci aiuta ad ammazzare il tempo fino a quando scenderà il buio.

Pronti? L'arrivo in massa a notte fonda sulla spiaggia illuminata da lampioncini di carta  appesi al vento è la fine dell'avventura che non si vuole chiamare per nome per paura che svanisca. "Roman Gods" è uno strumentale gioioso e allo stesso tempo solenne giocato sull'eco ai richiami tribali di Peter. Urliamo sha-la-la- la... e in fondo siamo solo creature catturate nella danza al culmine della notte con il terrore che questi attimi di felicità possano svanire lasciandoci con i soli tamburi  a battere il tempo.

Il voto? Non si vota il sogno, lo si vive.

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