L'irlandese David Cunningham, fu uno dei personaggi più influenti nella Londra new-wave. Compositore d'avanguardia, produsse numerosi gruppi minori nel ribollente calderone post-punk (oltre che il grande Michael Nyman suo collaboratore nel secondo album dei Flying Lizards), sino a quando non decise di sfruttare la sua arte formando un gruppo tutto suo. Nacquero così, nel 1979, i Flying Lizards, e dopo un anno uscì l'omonimo disco d'esordio.
Si tratta di un lavoro originalissimo, che merita un ascolto attento e meditato per essere interpretato appieno. Cunningham ha una grande dimestichezza con lo studio di registrazione e sfrutta la sua abilità per mettere in scena cover sfigurate e pezzi originali, in un miscuglio di grande creatività. Tutto il disco è costellato da innumerevoli gag, che se esaminate a fondo rivelano una malizia e una creatività davvero non comuni. Un lavoro divertito e divertente, ma allo stesso tempo sofisticato e anticipatore, che si discosta nettamante dalla media. Si intuisce insomma che Cunningham possiede un Background d'elite.

Appena il tempo di far partire il disco e si viene subito travolti dal vertiginoso ritmo di "Mandelay Song" mandata apposta fuorigiri con tanto di voce femminile accellerata, sembra un errore di registrazione, ma non lo è. E' la sua versione divertita di Brecht.
"Her Story" invece è un raffinato pezzo paradisiaco avvolto da voci di sirene ammalianti, su di un ritmo lievemente funky. Un esercizio da cocktail-lounge d'altri tempi, l'esempio perfetto della maniera di Cunningham di concepire lo studio. Da intelligente interprete della lezione di Eno, Cunningham taglia su misura l'abito delle sue pop song, rivestendole di eventi sonori assemblati con gran gusto. Cambia il tono dell'operazione, più divertito e disimpegnato, ma il concetto di fondo è lo stesso.
"TV" è un'altra parodia surreale a ritmo di swing, che prelude all'irresistibile "Russia", una disco-music demenziale con un coro idiota e monotono, puntellata da riff rockeggianti di chitarra. Geniale e schizoide.
La cover di Money, targata Gordy-Bradford, (lanciata all'epoca come singolo, insieme a "TV") fornisce un'ulteriore prova di decostruzione stramba e visionaria, con un tempo ancora disco che fa da palco per le sue sceneggiate grottesche.
"The Flood" mostra parentele più strette con l'avanguardia, con la sua struttura minimalista ed ipnotica, così come "Events During The Flood", che come avrete capito è un brano costruito su un altro brano. Praticamente Cunningham fa una cover di se stesso.
Gli inquietanti tintinii su base metronomica di "Trouble" si mantengono ancora nei territori della sperimentazione, territori dai quali ci si allontana per approdare nuovamente nelle sale da cocktail con la suadente "The Window", per voce femminile e carezzevoli rintocchi di piano, che pare uscita direttamente dagli Air di "Moon Safari".
Le bizzarrie e le stravaganze di Cunningham terminano qui, ma ciò che questo disco ha lasciato rimarrà per sempre nella storia della new-wave. Uno scherzo se vogliamo, ma molto, molto più intelligente di tante cose più "serie", o presunte tali. Imperdibile.

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