I saturnalia erano delle festività romane in onore del dio Saturno caratterizzate da banchetti, doni agli dei ed un momentaneo sovvertimento dell'ordine sociale, in cui gli schiavi diventavano liberi e partecipavano all'evento lasciandosi andare ai vizi e alle orgie assieme ai padroni.

Ascoltando questo disco si avverte in effetti un senso di forte oppressione liturgica, con il peso della fede che ritorna più volte nei testi. D'altra parte non vi è traccia di baccanali o festeggiamenti, ma, come ci si può aspettare da oscuri signori del canto come Mark Lanegan e Greg Dulli, domina la scena la dicotomia morte-vita, assieme alle loro compagne desiderio, passione e delirio.

Sin dallo splendido attacco iniziale di "The Stations", seguito dal lento incedere di "God's Children", si nota un profondo, plumbeo legame tra le tracce. Nella prima sei impegnato a voltarti indietro per controllare se i tuoi demoni interiori ti stanno ancora alle costole, quando, verso la fine, ti ritrovi abbracciato da una batteria marziale che ti detta il ritmo, ti salva ti conduce dentro "God's Children" e ti apre la via verso uno stacco melodico in cui puoi invocare una (magari effimera) vita nel desiderio e nella passione. Il risultato a livello neurale è un senso di stordimento sensoriale che ti fa precipitare come in un sogno e che presto si materializza nell'oscuro uragano di emozioni di "All Misery/Flowers" ("mi svegliai da un sogno, stavo piangendo, vidi un animale con occhi di fuoco come i miei, vidi il mio vero amore...lei era lì che vendeva fiori, erano nontiscordardimè, gigli bianchi o rose rosse? Poi da lontano chi vidi arrivare cavalcando? Su un pallido cavallo bianco arrivò veloce come il fulmine...").

In questo scenario si muovono a loro agio i due protagonisti. Dulli insegue a tratti i fantasmi dei suoi Afghan Whigs, vedi il "riffone" di chitarra sommerso di angoscia ed affanno dell'epica "Idle Hands", mentre Lanegan continua ad indossare il suo lungo cappotto scuro, ormai tatuato sulla pelle ed imbevuto di whiskey e fumo. Le sue entrate in scena, piene di blues notturno, sublimano le parti più rock dell'altro, a volte come un'iniezione di morfina nelle vene (una su tutte il break di "Circle The Fringes"). Peccato per il ritmo spezzato un paio di volte a metà dei due ipotetici lati da brani fuori contesto come "I Was In Love With You" o "The Body", in cui uno spiraglio di sole infastidisce ed acceca invece di riscaldare le membra.

Il resto compensa comunque ampiamente questi incidenti e regala la preziosa, amara chiusura di "Front Street": "la vita è una vergogna e le tue mani sono macchiate, cammini in catene e cambi nome...vai dove vuoi, ma non dimenticarmi...porta con te anche un ricordo, se è tutto quello che ti rimane...scaccia la tua pena con un colpo di pioggia e sotterrala con una vanga o la lama di un rasoio...".

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