Morris Gould è stato precursore, nonchè uno dei nomi più rilevanti - soprattutto per le origini - del fenomeno ambient-techno dei primi novanta. Il suo main project "The Irresistible Force", a dispetto dell'altisonante e guerrigliero aka, pennella a meraviglia i paesaggi psichedelic-onirici tipici del filone che, come molti altri colleghi britannici del periodo, si avvicinano più al versante ambientale che a quello techno.

"Global Chillage", fuori nel 1994 (annata seminale che consegna agli annali masterpiece come "Lifeforms" dei FSOL, "Amber" degli Autechre e "76.14" dei Global Communication) si compone di sette lunghe tracce che rispecchiano in pieno quello che è il classico stile del periodo, nella fattispecie il versante piu chill/ambient (Global Communication nel caso dei citati) piuttosto che quello mentale/sperimentale: dunque fitti strati atmosferici, languidi arpeggi di sequencer stile Tangerine Dream, ritmiche moderate, texture spaziali, echi e riverberi a volontà, giungendo così ad un lento e progressivo allontanamento dalle superfici terrestri. Tutto nel pieno rispetto di una genuina semplicità, che lo distanzia sì da terzi lavori piu audaci e anarchici del filone, ma che non scade mai nel metodismo, tantomeno lascia margini per far si spunti l'aggettivo 'banale'.

Stilemi che figurano già tutti sull'iniziale "Natural Frequency", monumentale immersione di quattordici minuti, trainata da uno 'schulziano' motivo cosmico, che a differenza di terza ambient music (quella purissima e quindi di matrice Eno) si presenta tutt'altro che statica e con molte variazioni (anche un vocal effettato compare qua e la nel marasma organico) pur conservandone i cromatismi 'discreti'. "Downstream" evita quest'ultimi, non lesinando frequenze subsoniche, droni corposi (ma non affatto minacciosi) e tastiere appena accennate sulla quale si posano con grazia minimi eventi sonori che vanno dal più classico filtro di risonanza "fluido" (effetto subacqueo sui suoni), fino alla fredda percussione sintetica; lo stesso accade su "Moonrise" (multistrati di feedback e analogia cervellotica alla ricerca della trance estatica) e sul magma etereo di "Sunstroke", dove i suoni si fanno ora quasi industriali e i riff ultraterreni.

La seconda parte è tra virgolette più ritmica; compaiono dumbek e accenti percussivi a-là Orbital sul capolavoro "Snowstorm", (con una fluttuante melodia che ancora una volta riporta alla luce i mostri sacri della berlin school), mentre sulla psichedelia profana di "Waveform" (dodici minuti), tra improbabili tabla al minimo decibel, sitar, pseudo didgeridoo e fraseggi orientali si citano i primi esperimenti di ambient-house "aborigena" dell'amico Space Continuum. "Manifesto" è un outro affidata ad un campione vocale vocoderizzato, che viene processato fino a fungere lui stesso da "drone" (non siamo affatto lontani dall'idea che animava il capolavoro di Alvin Lucier "I'm Sitting in a Room"). 

Come la maggior parte dei dischi techno-ambientali dell'epoca risulta assai difficile argomentare tracce che se tolte dal complesso dell'opera non hanno motivo alcuno di esistere. L'opera in questione è un trip di notevolissime proporzioni, oltre che uno dei momenti più significativi di quel suono magico dell'Inghilterra elettronica più visionaria

"This record is dedicated to the global ambient underground. It's time to lie down and be counted"
Mixmaster Morris 1994

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