Exile on main street

Cosa domandiamo ai nostri "musicanti" preferiti?
Che vivano più vorticosamente di noi, e che brucino le tappe mettendosi a sperimentare quelle cose che noi neanche morti oseremmo pensare. Vogliamo che approfittino della minima occasione per raccontare immani panzane alla stampa. Vogliamo che si prendano a cartoni e coltellate nei backstages dei megafestival. Vogliamo che s'ingozzino di birra ma che restino con il loro six pack bello tornito. Vogliamo storie di fughe, inseguimenti e fantomatiche cliniche in Tailandia. Vogliamo donne aggressive che vomitino lo champagne sulle minigonne fosforescenti, e di queste sopportiamo addirittura le loro mancanze artistiche, a patto che prima o poi crepino d'overdose nel bel mezzo di un'orgia. Oh, sì! Tutto questo è molto rock'n'roll.
E dai The Kills che cos'è che vogliamo? Che Vv sul palco dimeni i fianchi sbattacchiando un fallo di gomma come l'illustre collega? E che Hotel si trascini tra i cavi come un animale tarantolato con la bava alla bocca? È davvero questo che gli chiediamo?

Michigan. Una casetta in zona campagna. Poco traffico fuori, inesistente il rumore tracimante della città. Aria fresca, campi di grano. La strada principale è l'unica possibile, il resto sono solo sentieri. Qui due persone, due "musicanti", stanno nella casetta al bordo dell'unica via, in esilio, fregandosene di tutte le aspettative di chi sta fuori. Nessun intruso, loro soli, loro due.
Lei cappelli stopposi e calze allentate sulle caviglie, lui barba lunga e due occhiaie da canguro. Due che parlano e parlano ancora, litigano e litigano, urlano e sbraitano. Porte sbattute. Passione. E poi l'amore, la pace, una bella scopata tenera tenera, poi subito al lavoro. Due meningi che si scontrano, formandone un'unica, che non ammette estranei. Una passeggiata all'aria, ossigeno, ed improvvise, folgoranti idee. Di corsa a casa, e note, parole, musica, chitarre, e poi ancora l'amore, e poi di nuovo discussioni per un giro di chitarra, a lui la barba cresce a vista d'occhio, a lei sono venuti gli occhi cisposi. Tante sigarette, centinaia, mozziconi per terra. Ricordarsi alle quattro del mattino che non si è mangiato niente per tutto il giorno. E giù ad ingozzarsi di pane e burro alle arachidi. E poi l'amore, nonostante le briciole. E il telefono che squilla e nessuno risponde, e la bottiglia del latte che al mattino tintinna con le altre dimenticate fuori dalla porta. E musica, chitarre, canzoni. Stremati sul divano, intrecciati con le gambe a guardare un film di Lynch. Alito pesante, lingua impastata, e qualche bottiglia di liquore vuota che rotola sul pavimento, tra fogli pieni d'appunti e i gomitoli di polvere. È giorno? È notte? Sentirsi tutt'uno, e fanculo tutti gli altri, là fuori. Al diavolo quelli che ci immaginano come pretendono loro. E che nessuno s'impicci. Che cazzo vogliono da noi? Io ho te, tu hai me. Non abbiamo bisogno di nessuno, noi.

Pochi mezzi, chitarre sature, un sogno in comune: il moog. Non possiamo prendere un moog, honey... Allora straziamo le chitarre, facciamogli venire il tetano. E l'elettronica... tu sei quella blues, ma io sono quello inglese, sporco e radicale. Voci acide, rancorose, i cuori messi a nudo, occhi negli occhi. Azione diretta senza alcuna mediazione. Vivere la musica, azzannarla, e soffrire come un gatto che si morde la coda. Un percorso oltre, introverso, istintivo, claustrofobico, misantropo.
No Wow, nessuna maraviglia. È tutto qua, nudo e crudo.

Sentirsi come marziani, come due profughi, due emarginati, mentre infine si è per le strade di Londra, con in tasca le registrazioni. La metropolitana che ti frastuona, gente frenetica che ti urta, che ti passa accanto con il suo metifico odore di morti che camminano. People are strange, when you're a stranger. Luci che aggrediscono le pupille, e il clangore, e il diaframma sopra lo stomaco che batte impazzito.
Fra poco tutto questo sarà nelle mani degli altri, di predatori che ci metteranno su le loro unghie ingorde...
Uno sguardo d'intesa, unico e selvaggio.
Che facciamo ora? Scappiamo?

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