La carriera di un artista è composta da varie tappe, ognuna col proprio percorso e con la propria destinazione finale; dalle prime canzoni registrate nel garage con gli amici, alle prime porte sbattute in faccia, ai primi lavori di nicchia per arrivare alle opere di successo, ognuno di questi tasselli che compongono il quadro di una carriera porta una gioia indescrivibile all'artista. Ma quello che con tutta probabilità è la pedina principe, il traguardo fondamentale che un musicista può oltrepassare è sicuramente il live: che ci siano 2, 20, 200 o 20,000 spettatori, vedere il frutto del proprio lavoro segnare il volto e le menti del pubblico è forse la gioia più grande. L'acclamazione, gli applausi, le richieste di bis e i cori di approvazione sono la linfa vitale di ogni musicista, più dei dischi venduti e più dei soldi guadagnati (si spera).
Prendete allora un uomo come Les Claypool: partito con la marcia sbagliata, ossia con un grosso rifiuto alle spalle (i Metallica reduci dalla morte di Cliff Burton), prima fece il gregario nella meteora trash metal che risponde al nome di Blind Illusion, in seguito realizzò quello che è il suo progetto più famoso e importante: nell'anno del Signore 1989 infatti, uscì il primo disco dei Primus, "Suck On This" (guarda caso, un live). Come si suol dire, da lì in poi il resto è Storia (con la S maiuscola).
Ma Claypool non era solo i Primus: altri due furono i progetti paralleli di Les, che mentre conquistava il mondo con i vari "Frizzle Fry" e "Sailing The Seas of Cheese" guidò anche la Les Claypool and The Holy Mackerel e i Sausage, che però non furono altrettanto fortunati come il gruppo padre. Ma Claypool non è un tipo che lascia le cose a metà, lui non abbandona le sue creazioni per strada, e questo "Live Frogs Set 1" ne è la prova più fulgida.
Live come celebrazione, in questo caso celebrazione a due facce: Les infatti recupera i due membri fondatori dei Primus, ossia il batterista Jay Lane e il chitarrista Todd Huth, e con l'aggiunta di Jeff Chimenti alle tastiere, Eenor all'altra chitarra e Skerik al sassofono, riprende alcuni brani dei suoi progetti paralleli e li dà in pasto al pubblico del Great American Music Hall di San Francisco infarcendoli di psichedelia, avanguardia e improvvisazioni dilatate all'inverosimile. Funk, rock, psychedelic e jazz si fondono a formare un disco senza forma o catalogazione, eppure distruttivo in tutti i suoi 66 minuti; energia e divertimento che alternano e scambiano in un vortice di innata potenza, e l'ascoltatore non può far altro che contemplare ammirato la creatività e l'innato talento di Claypool e della sua brigata.
Questa era la faccia più personale e quasi "egoista" del disco, ma Les Claypool non è affatto un ingrato o un mascalzone: è ben conscio del fatto che il suo percorso e le sue soddisfazioni derivano anche dagli ascolti giovanili e dai padri fondatori della musica che lo hanno preso per mano e guidato nel suo viaggio da musicista: l'altra celebrazione è quindi dedicata ai modelli ispiratori del bassista, che omaggia alla sua maniera i King Crimson e i Pink Floyd con le cover allucinate, meravigliose, infinite e al tempo stesso troppo brevi di "Thela Hun Ginjeet" (dall'album "Discipline", 1981) e "Shine On Your Crazy Diamond" (nella versione di Jack Irons, ex-batterista dei Red Hot Chili Peppers).
Alla fine del disco quindi, dopo essere stati trascinati e sballottati da parte a parte dalle cascate di note, dalla grottesca voce di Les e dagli assurdi e impossibili assoli che compongono questo live, il primo pensiero sarà uno solo: Les Claypool non è un uomo, non è un bassista o un musicista: lui è un Artista.
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