Vuoi la poca (?...relativamente) attenzione del sito verso le sue gesta, vuoi la mia irrefrenabile "Sindrome di Stendhal" verso le sue opere, sono arrivato a dedicare a Claypool la terza rece, dell'ennesima, stavolta riuscita, prova sperimentale dell'ultimo genio freak. Devo ammettere che in questi progetti paralleli stavo iniziando a scrutare, oltre a un'eccessiva teatralità nelle esibizioni dal vivo, un misto di autocompiacimento e patetico, giustificato forse dalla non inesauribile genialità compositiva di un artista iperattivo e poliedrico come Les. Contrariamente ai live, dove si arrangiavano brani propri (della ditta Claypool, ovvero Primus e Sausage) e non, come l'esecuzione per intero di "Animals", ci troviamo di fronte, l'anno dopo (siamo nel 2002), alla prova in studio della sua Frog Brigade.
Forse il guizzo migliore fra tanti progetti acerbi, Oysterhead in testa. Pur con evidenti difetti, come una certa discontinuità, "Purple onion" ha dalla sua il pregio di risultare meno "mattone" degli album precedenti, specie nell' eterogeneità della ricerca sonora, che spazia qui dai Rush ai Pink Floyd, dal jazz-rock zappiano all'elettronica. Ah, essendo che non voglio ribadire le solite cose, per chi non lo conoscesse, Les Claypool è considerato abbastanza unanimemente la figura manifesto della sperimentazione al basso, come lo è Wooten della tecnica.
C'è già un richiamo space rock già dai titoli di quelli che sono senza dubbio i vertici compositivi del disco. "Lights in the sky" è un sabba allucinato che ridonda e ipnotizza, in una totale perdizione di se stessi verso il cosmo... i richiami al Fluido Rosa sono più che evidenti... (sembra essere uscito da "The piper at the gates of Dawn!). "Cosmic Highway" accentua, invece, quella dimensione onirica dal sapore esotico, un epopea intergalattica senza reliquie o pause...memorabile soprattutto il dialogo fra gli strumenti nel mezzo, che sembrano solcare i confini universali .Fra le migliori trovate strambe uscite dal cilindro di Claypool (le altre sono Eclectic electric e Mary the ice cube).
Fra gli altri brani di rilievo, "Barrington Hall" sembra, inizialmente, un richiamo al trash-horrorifico di "Pork Soda", poi si solleva piano piano grazie a una cornice medievale azzeccatissima, un brano sinceramente riuscito... mi sorprende(in brani come questo c'è chi avrebbe da ridire), poi, chi riesce a esprimere critiche negative alle doti vocali del Frontman, che anzi, si sforza in ogni brano, anche il più mediocre, a imprimere la giusta sfumatura timbrica, mai troppo espressiva da risultare forzata, mai fine a se stessa... Poi arriva "Whamola", titolo con riferimento allo strumento (una specie di contrabbasso suonato con le bacchette da batteria), senza mezzi termini, un big beat alla Prodigy, semi-strumentale concepito chiaramente con funzione riempitiva, ma ciò che riempie con successo sono i padiglioni auricolari, con scariche adrenaliniche degne del miglior sound cyber-techno. Mentre "David Makalaster" è il classico episodio dai toni irrisori e scanzonati, che vive della irresistibile voce da bardo cantastorie unita a una granitica chitarra, e il risultato è piuttosto convincente, almeno nella prima parte. La seconda parte del brano (staccata dalla prima) ne smorza i ritmi, e la cadenza lenta e pesante, quando non annoia, sa di minestrone riscaldato... e totalmente trascurabile.
Il voto finale è penalizzato da altri riempitivi, che non evitano l'andamento altalenante dell'album, ed è, francamente, più utile tacerli.
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