È successo di nuovo. Mi metto ad ascoltare un po’ distrattamente un album appena uscito, di una band che non conoscevo prima d’ora, mentre mi facevo i cavoli miei, e invece no, smetto progressivamente questi famosi cavoli e ascolto soltanto, in silenzio, più volte.

Mi approccio a questi The Murder Capital e già dal nome della band capisco che mi sto tuffando di pancia in qualcosa di oscuro, tetro, melmoso, che ti si attacca addosso e non si lava più via. Sensazione a cui mi rimanda immediatamente il primo pezzo, “Existence”, una sorta di intro di un minuto, di porta verso l’inferno, quasi letteralmente! Già dal secondo brano invece, “Crying”, si capisce quanto i The Murder Capital abbiano l’ambizione di staccarsi, quasi, dall’etichetta di post-punk, volendola idealizzare al momento con quella dei Fontaines Dc, concedendosi dei suoni più sperimentali, mantenendo però l’approccio “dark” che il genere richiede. Dal brano più “pop” dell’album, il terzo, più accessibile ma non affatto male, si passa alla piccola perla del disco, che è “Ethel”. Parte lenta, ma si intuisce subito che alla fine esploderà, aperta da accordi di chitarra elettrica e da campane apparentemente effettate con un ring modulator che rendono tutto dissonante ed estraniante. Un canto di speranza che sorge dalla cenere.

Questi irlandesi, da Dublino, sono riusciti con questo album ad amalgamare lo stile cupo del post-punk a una freschezza tipica dell’alternative di inizio 2000, che spesso viene fuori, a volte timidamente, altre volte invece più prepotentemente, come in “A Thousand Lives”, che inizia con una batteria alla “Weird Fishes”, condita da arpeggi tipici di “In Rainbows” dei Radiohead, e fa il paio con la successiva “We Had To Disappear”, altro brano neanche troppo vagamente “Radioheadiano” dove il frontman, James McGovern, canta “The only place to go from here / That's all we had to disappear / I made my choice / The pulsing waves that miss the moon / Will rise and fall, each day will too / I'm dancing in the waves” (Thom Yorke esci da questo corpo!)

Seguono altri due brani molto interessanti, tra cui quello che dà il titolo all’album, “Gigi’s Recovery”, e si chiude con “Exist”, che ci riporta all’inizio, a quella “Existence”, ma segna al contrario una rinascita, una fenice che risorge dalle sue stesse ceneri, un cambiamento: “New feeling revealing it / I'll stay committed, I'll make it stick / This morning took ownership / To stay forever in my own skin / Existence changing…”

Con questo album è stato amore a prima vista, vuoi per i riferimenti radioheadiani, gli effetti particolari ben dosati nei pezzi che non annoiano e un cantato molto introspettivo. Un post-punk atipico, accessibile anche a chi si inizia ad approcciare al genere venendo da un ambiente di ascolti più mainstream, grazie a momenti dagli angoli smussati e dolci, alternati ad altri leggermente più spigolosi e aspri. Un puzzle di colori e sensazioni ben assemblato, eterogeneo ma allo stesso tempo compatto. Alla fine la guarigione non è stata solo di Gigi!

Carico i commenti... con calma