Synchronicity (1983) è un album di riferimento.

La carriera dei Police comincia alla fine degli anni 70 con due opere, Outlandos d'Amour e Regatta de Blanc, compatte, omogenee, di cui la seconda (eccellente) potrebbe essere vista come affinamento della prima.
A quell'epoca i Police orecchiavano al reggae e si vestivano punk, creando un prototipo originale da cui non si liberarono immediatamente.

Con Zenyatta Mondatta i Police cominciano a cercare qualcosa di diverso, dando però la priorità al consolidamento delle vendite ("È il nostro disco più imperfetto. Sorprendentemente è quello che ci ha fatto grandi").
Il terzetto si getta a capofitto nella ricerca ed esce Ghost in the Machine, l'album col quale toccano i vertici della loro tecnica musicale. Ma non li soddisfa. Perchè? Sting tanto colto e geniale quanto limitato col basso, provoca con il suo carisma l'insofferenza di Copeland, tanto mostruoso con le percussioni quanto tendenzialmente disordinato e indisciplinato.

In Sincronicity, che pure ai primi due ascolti appare pastoso e omogeneo, questo emerge chiaramente. L'album apre con Sync I, dove Sting deve rincorrere con la sua voce l'energia delle percussioni: come un padrone viene trascinato al guinzaglio da un grosso cagnone, lo segue, lo cerca, chiede che gli venga riconosciuto il proprio ruolo: la sua voce è smorzata, concisa, sfumata prima del termine di ogni terzina (la formula che meglio permette a Copeland di scatenarsi).
Con il tappeto della seconda traccia, compare l'altra faccia di Copeland: l'energia qui resta composta, equilibrata, badate bene, mai ordinata (per quello ci pensa Summers), ma delicata. Sting umiliato! servo, si adegua e rifinisce.
Potrebbe essere solo strumentale e non perderebbe niente, anzi... In O My God finalmente riconosciamo il mite Summers; pensate che dal minuto 2:30 i nostri separati in casa gli permettono addirittuara di farci ascoltare un riffettino! Tanto per gradire. Questo è senza dubbio il brano più equilibrato, come Ghost in the Machine: Sting e Copeland non si toccano, arrivano al compromesso, si marcano reciprocamente, e il risultato è perfettamente anonimo.
Da Sync II in poi è un altro disco, e Sting ne è il protagonista: come se fossero le tende di un sipario, Sync I e II (il secondo in quartine, vorrà pur dire qualcosa) ci aprono e ci chiudono tutto il rapporto intimo dei Police.

Questo album è nervoso, scontroso, asciutto, sconnesso. È pure più scarno di Ghost in the Machine. Eppure è assolutamente indispensabile averlo. Qui dentro, alla rinfusa, spinti dall'istinto di autoconservazione a cercare di proseguire il rapporto, ognuno dà il meglio di sè, essendo però disponibili a proseguire solo alle proprie condizioni!
Ecco anche perché questo è l'album che sancisce il divorzio tra Copeland e Sting, con il primo che zaino in spalla è andato a cercare i confini delle percussioni (e che nessuno ha più visto tornare) ed il secondo che, pure avendoci regalato buona musica per un altro lustro, non trovando altro contraltare che il proprio culto della personalità, ha finito con il promuovere il tantra come soluzione della precoce andropausa che evidentemete lo ha colpito.

Provate ad ascoltare Synchronicity 6 o 7 volte, programmando Sync I e II all'inizio e alla fine, togliendo Mother e Every Breath You Take (troppo ascoltata, risulta fuorviante) e fatemi sapere.

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