Pure loro da Melbourne.
Spuntarono fuori tre anni fa, quasi dal nulla, con un ep intitolato “Wrong Side Of Town” e i 2 minuti e 43 secondi dell’iniziale title-track mi fecero sperare che quei cinque avrebbero fatto uno sfracello, prima o poi. Altri due brani frullati velocissimi in poco più di tre minuti mi diedero la certezza che lo sfracello l’avrebbero fatto di sicuro, era solo questione di tempo. Poi, giusto per mettere in chiaro da che parte stessero, ecco un rifacimento con piglio alla Buzzcocks dei semisconosciuti powerpopper inglesi Incredible Kidda Band.
In principio furono Nadine alla voce e batteria, Carey alla voce e chitarra, Joseph e Austin pure loro chitarristi, e Jack al basso; oggi sono ancora loro, solo con l’avvicendamento al basso di Ethan al posto di Jack; restano lì, ben salde, le tre chitarre e quando il powerpop sfocia nell’hard rock, ti crolla addosso un muro di suono che fa impressione.
Nadine è l’unica con una piccola storia da raccontare, suo papà suona la batteria con i meravigliosi Cosmic Psychos e così lei fa una piccola, divertita comparsa in un loro video, insieme ad un’altra teenager di bellissime speranze, che è inutile dire chi sia.
The Prize nascono lì, quando quello scricciolo di biondina mette strampalate idee nella testolina di Nadine, tipo che a suon di musica si può infiammare Melbourne e farla bruciare mica solo di noia, e poi l’Australia intera e alla fine tutto il mondo.
“Wrong Side Of Town” è tutto qua, la smania di bruciare veloci passioni ed emozioni.
L’anno dopo, la storia si ripete ancora più compressa, solo due brani per urlare a chi ha la voglia di starti a sentire che hai dentro qualcosa che non riesci proprio a controllare e che ti sballotta da una parte all’altra senza darti tregua, e allora pestare sui tamburi di una batteria, spaccare le corde di una chitarra una via l’altra e urlare dentro un microfono è un modo come un altro di sopravvivere, niente di più niente di meno.
Per quanto piccolo, anche questo è uno sfracello.
Quando poi tocca a “Had It Made” è il 2024 e a me mi sembra di tornare indietro di 40 anni, quando m’ero fermamente convinto che i New Christs per qualche oscura ragione ce l’avessero col mondo intero, me incluso, e per regalarci un album volessero prima vederci strisciare ai loro piedi implorando la salvezza, anche se non ce la meritavamo, uno stillicidio di singolo dopo singolo dopo singolo, uno all’anno per otto anni filati. I New Christs, Sidney, sempre Australia, maledetta Australia.
Due mesi fa, “From The Night”, una meraviglia come e più ancora di “Had It Made”, così non ce la faccio, e allora fanculo Carey, spero che i vicini di casa te la spaccano in testa la chitarra, e pure fanculo Nadine, magari te la rubano la batteria.
E invece ce l’ho fatta perché sono duro come la roccia, non mi sono né piegato né spezzato, e sono arrivato a ieri e a “In The Red”.
La sera prima mi sono addormentato ripetendo la scaletta a memoria come una tabellina, 11 brani, 4 già li conosco – “From The Night” e “Had It Made”, oltre a “First Sight” e “Say You’re Mine” dal singoletto del 2023 – gli altri 7 potrebbero pure essere deliranti fricchettonerie progressive e l’album sarebbe un capolavoro uguale. Invece, Nadine e compagni riescono a fare pure meglio, perché “Down The Street” per me è di una bellezza terrificante.
Adesso che è passato un giorno e l’album gira ininterrottamente, la sensazione è lo stesso entusiasmo che mi regalarono gli Sniffers all’esordio – la cosa più bella capitata al punk nel nuovo secolo, o qualcosa del genere – solo che i Prize non sono punk, non sono hard-rock, non sono glam, non sono powerpop, ma sono un po’ tutte queste cose insieme, rock’n’roll puro e incontaminato e indefinibile, ed è grandioso esserne travolto.
E anche ora che il bulldozer lo porta Nadine e mi punta dritta addosso, non ci penso proprio a scansarmi, proprio come ai tempi di “Go The Hack” di zio Ross, zio Peter e zio Bill.
Quanto siano bravi questi Prize non trovo un modo migliore per dirlo.
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