Quarto album per The Psychedelic Furs: il ricordo corre subito a due hits contenuti nel disco, "The Ghost in You" e "Heaven". Era il 1984 e la new wave stava esplodendo le ultime cartucce. Tanto che alcuni gruppi, Simple Minds per fare un nome, avevano accantonato la tensione alla ricerca e alla sperimentazione e chi poteva si godeva il successo di un faticosamente conquistato posto al sole nel più rassicurante territorio del mainstream: The Psychedelic Furs, per fare un altro nome.
Londinesi purosangue, registrano "Mirror Moves" a Los Angeles e a New York, e salutano sventolando il fazzoletto i tempi del loro esordio, che li aveva visti tra le band emergenti e poi protagoniste della scena punk e post-punk. Ma questo album ormai è un'altra cosa, e si avvicina stilisticamente più a un rock melodico o a uno pseudo-pop.
"The Ghost in You", appunto. Brano di apertura dell'album, e chi lo mette in discussione? La melodia introduttiva affidata alle tastiere funge da amo, le parti vocali – tra quelle principali e i cori di supporto – fanno il resto, e i pesci abboccano. "Heaven", qualcuno ha da dire? All'epoca stazionava in heavy rotation su MTV, con quel bel video delle pellicce psichedeliche ben felici sotto l'acquazzone, singing in the rain.
E se questo album si salva, tutto sommato, lo dobbiamo al frontman Richard Butler, una delle voci più notevoli degli anni '80: una voce flemmatica ma espressiva, ruvida senza essere sguaiata, che come molti altri vocalist di quella generazione trova in David Bowie l'origine della propria ispirazione, riuscendo nei casi migliori a emanciparsene.
Come accade in "Here Come Cowboys", brano perfetto in sé: chitarre cattive dal timbro metallico e severo, ritmica pesante, la voce serena e tagliente di Butler. Peccato che il resto dell'album non sia tutto allo stesso livello, in tal caso davanti allo specchio avremmo trovato un lavoro di ben altro spessore.
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