Boys who rape should all be destroyed
Boys who rape should all be destroyed

Three to one girl, how can you win?
One horrid night you hope that it's a bad dream
They rip you to shreds, make you feel useless
You'll never forget those fuckers stay in your head

Boys who rape should all be destroyed
Boys who rape should all be destroyed

I ragazzi che violentano dovrebbero essere tutti distrutti

I ragazzi che violentano dovrebbero essere tutti distrutti

Tre contro una ragazza, come puoi farcela?

Una notte terrificante, speri che sia stato un brutto sogno

Ti strappano a brandelli, ti fanno sentire inutile

Non dimenticherai mai quegli stronzi, rimarranno nella tua mente

I ragazzi che violentano dovrebbero essere tutti distrutti

I ragazzi che violentano dovrebbero essere tutti distrutti

I Raveonettes sono un duo danese, nato nel 2001 a Copenhagen: Sune Rose Wagner, chitarra e voce, e Sharin Foo, voce e basso, entrambi del ’73.

Lui ama Dylan, ma non si sente. Ama Buddy Holly, gli Everly Brothers, i Jesus and Mary Chain e si sente. Lei Beatles e Velvet Underground. Ha studiato musica qawwali e hindustani, ma si nota poco.

Hanno all’attivo otto album. “In and Out of Control”, del 2009, col predecessore, “Lust Lust Lust”, segnava il passaggio dalla Sony all’etichetta indipendente Vice. E li coglieva al meglio, nella loro idea archetipica di noise pop, nella loro formula base:

rileggere i Jesus and Mary Chain, più che i My Bloody Valentine, in varie chiavi sincroniche (estetica lo-fi, minimalismo, dualità maschio-femmina) e diacroniche (Buddy Holly, Everly Brothers, Ronettes, Crystals, Shirelles, Angels, Lee Hazlewood & Nancy Sinatra).

Come i Jesus, uniscono agli strati di feedback chitarristico e alle distorsioni la lezione armonica di Phil Spector. In mezzo a fuzz e suoni increspati, tratteggiano melodie piane, fragili, ma torbide ed accattivanti. La drum machine imita le percussioni incalzanti dei gruppi femminili dei sixties. Il canto sensuale di Sharin, confidenziale, serafico, si alterna a quello poco appariscente, per usare un eufemismo, di lui. Le armonie vocali e i coretti sono amabili. Una spruzzata di New Wave e un immaginario dark fanno il resto. Dipingono atmosfere surreali, ipnotiche, in parte ossessive, ispirate decisamente a David Lynch. I testi sono crudi, impoetici, diretti. Parlano soprattutto di amore e delle sue degenerazioni.

Così i brani concitati, maliziosi e spasmodici si avvicendano alle ballate lente: vere lamentazioni oniriche, ossianiche o lugubri, senza batteria elettronicapercussioni, con tratti netti di chitarra distesi verso languide derive psych pop.

Niente di troppo nuovo, ma tutto dignitosamente portato avanti.

Il loro stile è racchiuso nella dicotomia “noise plus melody”: è elegante, notturno, volubile. Può esser detto pop gaze. Pare la contemplazione di un sogno sinistro e l’impeto di risalire la china quando si cade.

L’album in oggetto, “In And Out Of Control”, è un’ulteriore coniugazione della loro tipica matrice noise pop : tre accordi, riff anni 60, rumori garage controbilanciati da beat elettronici puliti, frementi, scalpiccianti, questa volta virati volentieri verso una vetusta ballabilità. Retro-dance pare l’indirizzo nuovo assunto. Imputabile peraltro al contributo di Thomas Troelsen alla produzione e al songwriting (questi ha un “range” che va da Junior Senior agli Aqua!).

L’essenzialità strutturale ed armonica è tratteggiata da un sound grezzo come in “Lust Lust Lust”, non vanamente levigato come in “Pretty in Black”. Alle melodie immediate e leggere, un po’ ruffiane, vagamente malinconiche, di una dolcezza precaria, malata, vengono sovrapposte l’irruenza e l’intensità livida dei fischi, dei riverberi, delle distorsioni sature, a tratti circoscritte, spesso lancinanti. L’ermetismo dei versi può essere altrettanto violento episodicamente.

L’ispirazione è dark, l’afflato vintage.

I temi: suicidi da rinviare, stupri da maledire, sadismo, cuori infranti, amori estivi abbacinanti o sepolti alla luce della luna, l’uso indiscriminato del rossetto.

Due canzoni del lotto sono al di sopra delle righe. “Boys Who Rape (Should All Be Destroyed)”: cruda nei versi, vorticosa e travolgente nella semplicità armonica. Una cantilena affabile ergo disturbante visto il tema tragico e sempre attuale. La violenza sulle donne è sempre esecrabile.

“Suicide” è meravigliosa, bellissima. Beat disco forte e rotondo, ritornello-fuga noise melodicissimo (con un ché di “Can't Take My Eyes Off You” rifatta dai Boys Town Gang e trasfigurata), canto sexy, ammiccante di Sharin, ancora sconclusionato ed illogico: “Piccola ragazza in fuga/…/ Il tuo fidanzato è cattivo/ E tua madre è una battona/…/ Corri, corri via bambina/ Divertiti in questo mondo del cazzo/…/ Leccati le labbra e fanculo il suicidio”.

Molto belle ancora “Break up Girls”, che parte col clangore strumentale e violento dei Sonic Youth per decantare nel solito riuscito contrasto orecchiabile, e, infine, “I Buried You Today” indolente ballata carica degli umori di Velluto Blu e/o Twin Peaks: luttuosa, tetra, eterea e dilatata. “Oh, ti ho seppellito oggi/…/ So che un cuore è difficile da accontentare”-

Il resto non spiace, anzi, fa immediatamente presa, ma alla lunga risulta un po’, non troppo, stucchevole. È pop, indie, ma pop. Non un capolavoro, certo, ma una piacevolissima opera, con qualche guizzo davvero, davvero felice. I Raveonettes assolvono così il loro compito: declinare il verbo dei Jesus And Mary Chain.

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