Le case discografiche non hanno mai avuto scrupoli. Se la band o l'artista da queste prodotto infila un mezzo successo di dimensioni (quasi) planetarie non si può prescindere dal greatest hits, o best of, chiamatelo come volete. Sempre e comunque, anche qualora l'artista in questione, tolto quel mezzo successo, non abbia null'altro da poter offrire al pubblico pagante.

La Decca Record, fondata a Londra nel 1929, aveva in catalogo un po' di gente, ma non così famosa, salvo i Rolling Stones che a metà anni Sessanta erano, insieme ai Beatles, la band più famosa di tutto il pianeta. Band che, oltretutto, aveva già infilato un bel po' di successi, tra cui l'immortale "Satisfaction". Ergo, non si poteva più aspettare, era giunto il momento di capitalizzare, e così, dopo soli sei album ufficiali (di cui almeno i primi due strapieni di cover) ecco pronto il greatest hits.

L'album esce il 2 aprile del 1966, un mese prima del lancio di "Aftermath" (guarda caso).

"Big Hits" contiene tutto il meglio del meglio degli Stones fino a quel periodo ("Satisfaction", "The last time", "Time is on my side", "Heart of stone", "Play with fire", solo per citare le più famose) e, come tutti gli album Decca del periodo, esce in due differenti versioni: prima edizione per il mercato statunitense, seconda edizione per il mercato inglese. Quest'ultima appare fin da subito decisamente migliore, ma è solo una questione di date. "Big Hits" in Uk esce il 4 novembre del 1966 quando cioe' "Aftermath" è già una realta più che acquisita, e al best of si aggiungono "Paint it, black" e "Lady Jane", non propiamente robetta.

L'operazione è evidentemente di puro stampo commerciale, nulla più, ma forse un merito l'ha avuto: è stata la prima antologia a mettere insieme, all'interno di uno stesso vinile, tutti i 45 giri dei Rolling Stones. Oggi sembra un'ovvietà, all'epoca no. In un'epoca in cui non esistavano Ipod e lettori mp3, poter aver tutti insieme i maggiori singoli del proprio gruppo preferito apparve qualcosa di quasi avanguardistico. "Big Hits" piace anche per questo.

Naturalmente il valore musicale in sé è indiscutibile, pezzi come "19th Nervous Breakdown" o "Get off of my cloud" (oltre ai sopracitati) non sono, e non possono essere, minimamente discutibili, fanno cioè parte integrante della storia del rock (seppure un po' giurassico, ma, tutto sommato, non importa).

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