< "Their Satanic Majesties Request" è stato registrato mentre eravamo quasi in coma, in un clima della serie "Dobbiamo proprio fare un disco? Sì ..." (Keith Richards, 1988).

La seconda metà degli anni '60 musicalmente segue ed evolve le orme lasciate dalla prima. Il movimento beat si era sviluppato andando oltremodo a modificare l'ambito letterario, sociale ed anche quello musicale. Nonostante il tentativo di relegare la cultura della beat generation al circoscritto ed alternativo underground, l'energia creativa che ne usciva fuori, con molta difficoltà riusciva a rimanerne naturalmente imprigionata. Una necessità-bisogno di sintetizzare in note l'abbagliante e soporifera realtà che si respirava, ne sono testimonianza il seminale esordio "The Piper at the Gates of Dawn" dei Pink Floyd (che rapidamente giunge alla sesta posizione della U.K. chart) ed il precursore "Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band" dei Beatles, in grado di assurgere alla velocità della luce a capolavoro psichedelico ma anche a monumento della musica tutta. E questo per rimanere in terra d'Albione e tra i gruppi a cui era riconosciuta una consolidata fama.

Dall'altra parte dell'Atlantico a fare da contraltare alla produzione inglese troviamo l'eclettismo dei The Byrds (ottimo punto di incontro tra Dylan e Beatles), in grado di interpretare una versatilità pressoché unica con dischi come "5D" (Fifth Dimension) e le lisergiche sperimentazioni in odore di flower power di "Younger Than Yesterday" pubblicato ben quattro mesi prima del concept beatlesiano.

Gli acid tests (raduni che si tenevano a San Francisco e che si svolgevano esclusivamente con l'assunzione di LSD ...), erano divenuti una consueta realtà per via del celebre Ken Kesey (autore di "Qualcuno volò sul nido del cuculo") che arruolò tra i suoi prodi anche i neonati Grateful Dead, facendone lieviare la popolarità. Una mirata ricerca di ampliamento della coscienza ben sviluppata dal professore anticonformista Timothy Leary che inventò il celebre slogan: " Turn on, Tune in, Drop out ...Accenditi, Sintonizzati e Fuoriesci dagli schemi" che raccoglie una pletora di seguaci in grado di dar origine ad un contagioso circuito comunicativo.

Al richiamo psichedelico risposero ben presto anche i Rolling Stones con la pubblicazione di "Their Satanic Majesties Request" avvenuta nel dicembre del 1967. La copertina (di cui si occupò Michael Cooper già all'opera per "Sgt. Pepper's ... ") può essere vista come un indovinato melting pot tra voglia di divertimento e magia nera, lasciando al caleidoscopio di suoni del vinile, il ruolo di radioso compagno di viaggio per l'ascoltatore. Ad emergere sono l'allegria lisergica di "Sing All This Together" (in compagnia dei cori vincenti dell'accoppiata Lennon-McCartney), mentre nella visionaria "Gomper" è il persistente accompagnamento dei bonghi a mettere ben in evidenza la libera ispirazione che ne sottolinea ancor di più il tentativo sperimentale. A segnare la strada in "The Lantern" sono la vacillante voce di Jagger ed il piano di Nicky Opkins, testimoniando quanto l'influenza di un certo Syd Barrett fosse riuscita ad aemergere dall'underground londinese, mentre la magia surreale di "Citadel" (che richiama non poco nell'andamento "Get Off Of My Cloud"), diviene occasione per apprezzare la capacità creativa di Brian Jones che vi suona clavicembalo e sassofono. Disponibili in formato 45 giri per il mercato americano ben prima della pubblicazione dell'album, furono "She's a Rainbow" e "2,000 Thousands Light Years From Home": la prima si sviluppa su una melodia fiabesca ove le voci di fanciulli donano al pezzo un'imprevedibile aura di purezza, perfetta per il concepimento dello smagliante arrangiamento di archi di un giovanissimo John Paul Jones; la seconda si rivela invece, la calzante colonna sonora di un viaggio cosmico in cui vengono a fondersi in maniera efficace i vecchi ed i nuovi Stones.

E' un periodo assai convulso per la band inglese che propone un lavoro dignitoso, seguendo solo in apparenza di coeve ed allucinanti strutture musicali confluendo con quanto realizzato nei dischi appena precedenti. Sia ben inteso i brani ci sono e la nuova immagine figlia di una cultura hippie, mal si amalgama con quella consolidata di teddy boys dei cinque costruita con anni di duro lavoro. Crisi identitaria? No, parliamo piuttosto di una dissimulazione per lo più indotta dalla volontà di testare la propria capacità di manifestare un tentativo di evoluzione artistica, ben distante da quella compulsiva libertà di espressione che era trapelata attraverso l'immediatezza di anche soli tre accordi e che la band era stata in grado di creare fino ad allora. Un salto nel buio che non riflette alcuna perdita di coerenza da parte degli Stones, ma che ci regala comunque un disco sufficientemente elaborato in grado di rispecchiare senza presunzione, la straordinaria aria di libertà che si respirava all'epoca.

Cinque mesi dopo sarà pubblicato "Jumpin' Jack Flash" e le pietre torneranno nuovamente a rotolare come sapevano meglio fare...

 

 

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