Se vieni da Liverpool e suoni, sei già segnato, non hai scampo e sarai per chiunque uno che si rifà ai Beatles.

A maggior ragione, se il tuo tempo sono i primi ’90, hai ancora meno speranze di fuggire dal luogo comune, per cui suoni comunque brit-pop e hai fatto giusto in tempo a saltare sul treno «che porta alla gloria, con Blur e Oasis a guidare la locomotiva.

Tempi gramissimi, quelli del brit-pop; perché, se Blur e Oasis sono quelli giusti per rifare il film che vide protagonisti Rolling Stones e Beatles, io ancora non ho capito chi interpreti chi, né quali siano le «Sympathy for the Devil» ed «In my Life» di fine secolo.

Poi, c’è chi prova a mandare in corto circuito il sistema.

Da Liverpool, in quegli anni, vengono i La’s e gli Stairs. A loro modo provano a stare un po’ fuori dagli schemi, anche se gli uni (i La’s) stanno a Liverpool nord e gli altri (gli Stairs) a Liverpool sud, per dire che fanno cose talmente diverse che le loro strade non si incontrano mai; e se i La’s un certo favore lo incontrano pure, gli Stairs invece non se li fila praticamente nessuno. Anzi, una cosa in comune, i La’s e gli Stairs e l’hanno, ed è che fanno un disco e poi spariscono dalla circolazione.

In ogni caso, questa è per gli Stairs.

L’unico disco degli Stairs si intitola «Mexican R’n’B», perché la matrice è quella, l’errebbì scorticato dei primissimi Stones, quelli dove la primadonna era ancora Brian Jones e che si destreggiavano nel rimaneggiare futuri classici del blues. È anche vero che la loro idea di rhythm’n’blues è un bel po’ eclettica e spaziosa, quasi quanto lo spazio che ci sta tra il Messico e la Russia, e in mezzo ci sta di tutto, dalla psichedelia al garage, il soul e il punk, non può mancare il rock’n’roll, ovviamente.

Retrò con intransigenza, rigorosamente mono, ma con talento.

Per i pochi che gli hanno dato un’opportunità, un bel po’ di pezzi sono diventati dei classici istantanei: «Mary Joanna», «Mr. Window Pane», «Weed Bus», «Flying Machine» (la più bella del lotto, nel suo parlare la lingua del pop di Liverpool coniugandola col verbo dei Long Ryders), «Woman Gone and Said Goobye», «Right in the Back of Your Mind», «Sweet Thing».

Però, a parlare di grandi numeri, gli Stairs sono un fallimento disastroso, le persone sbagliate nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Ma tu ce l’hai presente che autentiche facce e atteggiamenti di cazzo che c’avevano (e forse c’hanno ancora) gli Oasis e i Blur, solo per dire quelli che hanno fatto il botto? Perché, per me, tipi come quelli che stavano nei Verve e nei Pulp erano decisamente peggio, sapevano suscitarmi odio a fior di pelle allo stato puro, solo guardandoli, senza nemmeno bisogno di ascoltare il pattume con cui inondavano lo spazio tra casa loro e casa mia.

Perché ridere e cazzeggiare ogni tanto fa bene, lo dicevano pure i latini.

E ben vengano gli Stairs, effigiati in copertina chi col poncho, il sombrero, i baffoni e il somaro (di peluche) d’ordinanza, chi colla tuta d’astronauta.

Ma tu ce l’hai presenti quelli di Man(Mad)chester, pure loro facce e atteggiamenti di cazzo come pochi; anche se, almeno da lì, qualcosa di ottimo gli Stone Roses e i Charlatans l’hanno tirata fuori.

Perché, pure a me che sono sempre stato straight-edge a mia insaputa, mi viene il sospetto che una canna fa meglio di una pasticca.

E ben vengano gli Stairs, che lo cantano fuori dai denti, sarà che nelle caverne dove stanno loro gira roba diversa da quella che gira nelle discoteche dove stanno quegli altri.

Ma tu ce l’hai presente il “suicidio” commerciale dei La’s? Il maniaco perfezionismo di Lee Mavers, al limite della paranoia? (E però i La’s mi piacciono molto, solo che non gli perdono di aver fatto un disco e basta).

Perché la musica rock, fondamentalmente, è musica di strada per gente di strada.

E ben vengano gli Stairs e «Mexican R’n’B», buona la prima sempre e comunque, tanto meglio della prima volta non può mai essere, né per passione né per irruenza e neppure per fervore.

Le persone sbagliate, nel posto sbagliato, al momento sbagliato. Semplicemente adorabili.

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