Un disco di Stanley Clarke? Ma dai! E io che pensavo che si fosse perso nei meandri di una fusion sempre più impoverita e grottesca pantomima di se stessa...

Che ci volete fare, fin dai tempi di quel discaccio che è "School Days" ho sempre avuto un debole per il buon vecchio zio Stanley e le sue torrenziali eiaculazioni iperbassistiche. Il fatto è che il nostro è della vecchia scuola. E' vero che ha rivoluzionato (assieme ad altri) la tecnica del basso elettrico, ma il signor Clarke nasce contrabbassista, e quando le sua manone volano sulle quattro corde dello strumento acustico, c'è solo da stare zitti ed ascoltare... Come potete vedere qui.

Piuttosto, ero assai perplesso dalla presenza sui credits della pianista e tastierista Hiromi Uehara, la giapponesina di cui tutti ormai parlano... Non me ne vogliano i fan di Hiromi, ma i suoi dischi mi sembrano delle perle di cattivo gusto... Per carità, tutto suonato con fior di controcazzi, i supervirtuosi musicisti si sfidano in continuazione sulla scala più difficile e sul passaggio più veloce, ma è tutto strasentito, ormai su youtube ci sono dei dei dodicenni che suonano quattro chitarre alla volta, o esoterici bassi a ventotto corde... La musica di oggi va in tutt'altra direzione, è più libera e meno esplicita.

Detto questo, il disco riserva parecchi motivi di interesse: la scommessa di far convivere musicisti tanto eterogenei tra loro, per formazione, cultura... E anche altezza! Per fare un Clarke ci vogliono due Hiromi messa una sopra l'altra... Inoltre, per quanto ne so questo è il primo disco del bassista nel quale figura esclusivamente il classico, acustico trio jazz: piano, contrabbasso, batteria. Bene, per quanto io stesso sia il primo a non crederci, devo ammettere che con "Jazz in the Garden" siamo di fronte a un trio di jazz acustico con tutte le carte in regole, con composizioni ed improvvisazioni di buona fattura, dove ciascuno dei tre musicisti coinvolti mette volontariamente la sordina al proprio tracimante talento, evitando le spacconate... Ma non rinunciando a divertire e divertirsi.

Quasi sconvolgente la trasformazione di Hiromi. L'avevamo lasciata a farsi venire le crisi isteriche su tastiere giocattolo, e ce la ritroviamo raffinata manipolatrice di tasti bianconeri. Per rendersene conto basta ascoltare il delizioso passo a due (totalmente improvvisato) "Global Tweak". La giapponese conosce il jazz e sa suonare con gusto - nume tutelare: Chick Corea, direi. Chissà che questo disco le abbia fatto venire in mente di abbandonare quei minestroni di jazz fusion e pop giapponese che sforna a suo nome.

Com'era da prevedere, i tre giocano la partita sul fronte dell'eclettismo, prendendosi il rischio di accostare intriganti composizioni originali ("Paradigm Shift", "Sicilian Blues"), inossidabili standard ("Take the Coltrane", "Someday My Prince Will Come", "Solar"), riletture di brani tradizionali giapponesi, riuscendo persino a tirar fuori lo swing da un brano come "Under the Bridge" dei Red Hot Chili Peppers. Un programma originale, fantasioso e piacevole.

Concludendo, questo trio mi ha convinto. E sono curioso di sentirlo suonare dal vivo, dal momento che quest'estate sarà in tournée in Italia...

Carico i commenti... con calma