Grande, grandissima band gli Stranglers. Una band atipica come atipica era la loro musica, molto Punk come attitudine musicale ma distante allo stesso tempo dal Punk canonico prima e della New Wave poi; e questo la mettevano sicuramente sotto una luce molto particolare.

La loro epopea iniziò con "Rattus Norvegicus", anno di grazia 1977. Un anno molto particolare in tutti i sensi, e quest'album collocato in quell'anno penso sia stato una piccola rivoluzione per i contemporanei. Il disco in questione è invece "La Folie", album molto maturo con molte più sfumature rispetto vecchi Stranglers. Le spigolosità erano già state smussate da tempo, pur mantenendo lo spirito Stranglers intatto... Una evoluzione deliziosa. Tutti gli album da "Rattus" fino a "Feline" del 1982 meritano grandissima attenzione sono grandi album, ma credo che la sintesi della medaglia Stranglers si trovi propio in "Rattus" e in "Feline". Una band che suona e suonava con un gelido gusto. Dicevo una band atipica nel panorama Punk della prima ora, dato che i membri avevano un background musicale non indifferente, rispedendo al mittente le convinzioni di chi vede nel Punk anche il luogo comune del non saper suonare.

Quando mi avvicinai a questa band mi mi aveva incuriosito l'accostamento ai Doors, trattandosi di una delle mie band preferite; e infatti togliete dalle assolate spiagge californiane i Doors, metteteli dieci anni dopo in un vicolo cieco chiuso da un muro di mattoni rossi in una giornata uggiosa tipicamente britannica e avrete gli Stranglers. Il disco si apre con "No Stop", un pezzo molto bello e molto alla Doors infatti, in cui l'organetto divento il vero leit motive della canzone, fungendo da traino anche al cantato a tratti recitato a metà tra Jim Morrison e Lou Reed di Hugh Cornwell. C'è spazio per altre svariate canzoni di pregevole fatture, come la ossessiva e psichedelica "Ain't Nothin' To It" o la trascinante "Tramp", in cui il lavoro alle tastiere da parte di Dave Greenfield si fa molto ma molto interessante. La title track è una ballata molto oscura e introspettiva, quasi da Parigi autunnale; e poi si arriva ad uno dei loro pezzi più famosi, "Golden Brown". Un Walzer molto accattivante, grande lavoro di clavicembalo e di effetti vari, oltre al pregevole lavoro quasi jazzato di Cornwell alla chitarra. Tra le bonus track delle varie edizioni uscite negli anni c'è la splendida "Strange Little Girl", un pezzo che sembra uscito paro paro da "Strange Days" dei Doors, commovente!

Forse l'ultimo album degno di nota assieme al successivo "Feline" lascia questa bella eredità di questa grande gruppo che andrebbe riscoperto sicuramente, il quale continua a vivacchiare ancora nei nostri giorni, magari allietando qualche festivaluccio gotico dell'est europa e magari facendo breccia nel cuore di qualche darkettino disperso chissà dove alle prese con un revival che non ha mai vissuto. Una delle band preferite di Enrico Ruggeri, uno che ha molto in comune con loro.

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