The Trip: Time of change

1973. I Trip sono un trio ormai e dopo la bella sorpresa di Atlantide (1972), si accingono a dare alle stampe un nuovo disco (purtroppo l'ultimo). L'album in questione è Time of Change, un capolavoro di raffinatezza ed eleganza, come pochi altri dischi: i componenti sono al top, Furio Chirico con le pelli è gia un genio (aveva meno di 20 anni), Wegg Andersen coniuga impeccabilmente il suo basso con la bella voce, Joe Vescovi è all'apice, le sue dita danzano sui tasti come cerbiatti attorno ad un laghetto di montagna.

Si parte con Rhapsodia, suite di venti minuti che si presenta con una intro celestiale per sfociare tutt' ad un tratto in un pandemonio fresco e gioioso di ritmi ricchissimi, quasi jazz. Da qui in avanti sarà un'alternarsi di esplosioni e di momenti di calma raffinatissima, sino alla fine stramba, quasi Disneyana. Segue la bella Formula nova, strumentale sulla falsa riga della precedente, con ritmi jazzati e tanto di percussioni africane: si respira un'aria festaiola che fa inevitalmente stare bene.

Qualcuno dice che la terza traccia "De sensibus" sia una mediocre imitazione delle sperimentazioni di "Ummagumma" (Pink Floyd): non è vero anche se la composizione in questione è un po' il punto debole dell' album (tutti gli album ce l'hanno un punto debole): una parola per definirla è sicuramente Sperimentale.
La quarta traccia è il capolavoro dell'album: "Corale". Niente batteria, solo timpani, organo liturgico e tastiere, cantato che sfocia in un bellissimo inciso, veramente molto originale, testo surreale e meditativo, una delle più belle canzoni dei Trip. Da notare il fatto che Joe Vescovi non possedeva un sintetizzatore ma riusciva a plasmare il suono del suo hammond sino a farlo sembrare un Moog (non ci credete? ascoltare per credere...).

La quinta ed ultima traccia, "Ad Libitum", è una composizione per solo pianoforte: alcuni di voi diranno che 'ppalla. Naaaa. E' di un astrattismo e di una eleganza veramente incredibile, e scorre via fluida per tutti i suoi 4:29 tra scale improbabili e classicismi che non cadono mai nel banale; il tutto condito con un'atmosfera giocosa che difficilmente indisporrà. Dopo questo disco i Trip non esisteranno più: Furio Chirico finì negli Arti e Mestieri, degli altri due, dopo poco se ne persero le tracce (musicalmente parlando).

"Time of Change" è uno dei dischi più sottovalutati del progressive italico, caduto chissà per quale motivo nel dimenticatoio. Con questa recensione si tenta di dargli un sentito tributo, che serva in qualche maniera a farlo conoscere ai nuovi cultori del progressive, i quali proveranno sicuramente piacere all'ascolto di questo gioiello dimenticato masochisticamente in un vecchio baule polveroso.

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