Fino ad oggi, ogni pellicola biografica che io abbia avuto modo di vedere si è sempre rivelata una mezza delusione. Ho sempre avuto la sensazione che, tolti i successi, gli amori, le liti, i soldi, la droga, quello che mancasse veramente fosse l'anima dell'artista.
Non che sia cosa facile da comunicare, ed infatti molte delle icone del ventesimo secolo rimangono ancora oggi cinematograficamente inenarrate. 

Ma se dovessi scrivere io il copione per la biografia degli Who, non avrei alcun dubbio. Lascerai da parte ogni cosa: l'infanzia, il rapporto con l'industria discografica, i primi successi... Ogni cosa. Non servirebbe.
Per strappare fuori l'anima basterebbe un taglio netto e deciso, qualcosa che penetrasse gli Who da parte a parte talmente velocemente da cadere a terra ancora calda e sporca di sangue, come se per sapere l'età di una pianta secolare non ci fosse altra soluzione che tagliarne in due il tronco e contarne i cerchi.
Il mio racconto non sarebbe così in grado di coprire che meno di 24 ore, e precisamente dal tramonto all'alba di martedì 20 novembre 1973

Gli Who sono all'apice del successo. Quadrophenia, il loro ultimo capolavoro, è stato appena pubblicato e il tour americano è un continuo sold-out.

Le prima inquadratura sarebbe obbligatoriamente affidata al cesso della camera d'albergo che Keith Moon sta per far saltare in aria con la dinamite. Prima ancora di partire per il Cow Palace di Daly City, in California, ha già in corpo una quantità di tranquillizzanti e alcol in grado di stendere un elefante. Eppure sul palco la magia è sempre la stessa. Parte subito la guerra infinita in battere e levare tra Townshend e Moon. Da una parte Pete trascina i pezzi verso il fondo, dall'altra Keith li afferra per i capelli e cerca di tirarli verso l'alto. In "My Generation" il tiro alla fune è talmente serrato che il brano sembra in procinto di strapparsi da un momento all'altro. Tra i due litiganti è sempre Daltrey che tiene in pugno la platea.

All'avvio folgorante segue buona parte di Quadrophenia, con l'intenzione - in pieno stile Who - di giocarsi tutto nel finale. Ma proprio durante l'esecuzione di "Won't Get Fooled Again" succede l'imprevisto. Keith Moon si accascia sulla batteria e perde i sensi. Il primo a rendersene conto è manco a dirlo Pete Townshend, che conscio della natura anarchica e ribelle di Moon the loon ha instaurato con lui nel corso degli anni un personale dialogo fatto di sguardi, con Keith fisso su Pete ad aspettare il minimo cenno per dare libero sfogo al suo estro.
Le roadies trascinano Keith di peso via dal palco, lo buttano vestito sotto la doccia sperando che qualcosa accada ed infatti così è. Il tempo di una "See Me Feel Me" senza percussioni e Moon è di nuovo on stage per una chilometrica "Magic Bus". Collassa però nuovamente e a questo punto, quando sembra che il concerto debba terminare anzitempo, Pete lancia un appello: "can anybody play the drums? I mean someone good".

Dalla retrovie viene spinto sul palco il diciannovenne Scot Halpin, la freccia che sta per trapassare gli Who da parte a parte. 

Gli occhi di Scott diventano improvvisamente l'inquadratura per il finale del film. Dalle luci del palco al sudore freddo, dalle parole rassicuranti di Townshend alla bottiglia di brandy nascosta dietro la batteria. La sua è la miglior visuale dalla quale sia mai stato possibile vedere in azione gli Who.

Pete Townshend gli sta a fianco, lo guida. E' lui la mente e il braccio del gruppo, è lui che dirige l'orchestra, è lui che tiene le redini saldamente in mano. Roger Daltrey è il frontman per eccellenza, è lui che catalizza l'attenzione su di sé, è lui che canta una "Love Reign O'er Me" da brividi lungo la schiena. Keith Moon è l'uomo degli eccessi, un batterista eccezionale che vive in simbiosi con Townshend e che soltanto Townshend è in grado di arginare.
E John Entwistle? The Ox è l'occhio del ciclone, l'unico punto fermo tra mulinelli e microfoni che roteano. Rimane impassibile e con le mani sul suo strumento anche quando Moon sviene. Un perenne "non pervenuto" se non fosse il più grande bassista della storia del rock. Con un Moon ancora lucido esegue una "The Real Me" da infarto.

Scorrono le immagini di una "Smokestack Lightnin'"  che lentamente diventa "Spoonful". L'insolito medley di Howlin' Wolf precede la chiusura affidata ad una comprensibilmente sottotono "Naked Eye". 

Certamente non il miglior live degli Who, ma storico, a suo modo.

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