18 anni sono trascorsi, da quando 4 ragazzi del midwest americano entravano in studio per registrare la gemma dell'emo "The Power Of Failing". Mineral, questo era il nome che si erano scelti.

16 anni fa questo capolavoro vedeva la luce, 2 anni dopo, troppo tempo dopo che era stato registrato.

18 anni sono passati anche dalla mia nascita.

2, solo 2 anni e poco più sono passati da quando ho scoperto dell' esistenza dei Mineral e dei loro "The Power Of Failing" e del successivo "End Serenanding", ma anche di tutto il genere in cui loro erano compresi, dalla scoperta di Sunny Day Real Estate, Christie Fron Drive, Penfold, Indian Summer. Sì, insomma, una rivelazione se si è abituati a quel cumulo  di tagli di capelli improbabili, teschietti, cuoricino e "sono depresso perché il mondo fa schifo anche se non me ne frega un cazzo, non so di cosa sto parlando, mi deprimo perché fa figo ma non ne ho motivo perché la mia vita è perfetta, però far finta di essere depressi fa figo" e di tutte quelle cose che ti danno un fastidio tremendo anche quando non conosci la realtà delle cose fino a 10-15 anni fa (o anche oggi in misura ancora più limitata). Ma queste non sono cose belle.

Ma 15 anni fa, i Mineral si sciolsero. I membri della band continuarono a suonare con altri progetti, bello, sì, ma i Mineral sono i Mineral.

E poi arrivò il gruppo con il nome chilometrico. Non gli Empire Empire! (I was A Lonely Estate) che sono tanta roba lo stesso. La Count Your Lucky Stars almeno questa volta non c'entra niente. Questa volta è la Topshelf Records, (The Saddest Landscape, Suis La Lune, Prawn, Pianos Become The Teeth, We Were Skeletons e altri) a fare il colpaccio. L'ennesimo. Ancora lui, ancora il fantasma dei Mineral che si manifesta ancora una volta. Voglio dire, i buoni dischi emo negli ultimi anni non mancano, il revival di questo genere di adepti ne conta eccome, ma non molti hanno qualcosa di speciale per cui riescono a dar vita a qualcosa di più dell'imitazione dei propri idoli.

I The World Is A Beautiful Place & I Am No Longer Afraid To Die hanno quel qualcosa in più. Qualcosa non ben identificabile, almeno per chi scrive. Non è la voce, non è la tecnica, non ci sono virtuosisimi, il genere non richiede niente del genere, la ricetta è sempre quella. Sì, abbiamo influenze Post Rock in alcune parti, melodie in crescendo che non si sentono così spesso, rese al limite della perfezione.

Sono passati 12 giorni da quando ho ascoltato per la prima volta questo disco.

E infine, è passato circa un quarto d'ora da quando ho iniziato a scrivere, anche se avevo deciso molto prima che questo disco sarebbe stato una delle migliori uscite nel suo genere quest'anno, o forse del decennio appena cominciato. Decisione facile, comunque.

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