Al poeta impeccabile, al perfetto mago in lettere francesi, al carissimo e molto venerato maestro e amico Théophile Gautier. Con i sentimenti della più profonda umiltà dedico questi fiori malsani” Charles Baudelaire, I Fiori del Male

Devo ammettere che il tarlo della poesia ha cominciato a rodere le fibre del mio albero interno già nell’adolescenza.

Ah! Come dimenticare le prime sensazioni (olfattive e non) nel marcescente campo che risponde al nome de I Fiori del Male!

Avevo, sì e no, quindici anni e l’incontro con Baudelaire (tra una partita a Subbuteo e un’altra a biliardino) mi aveva profondamente scosso: ho pensato all’ incolmabile distanza che separa lo spleen dall’ ideale in un’età dove, forse, avrei fatto meglio a godermi maggiormente quegli incantesimi esistenziali che non sarebbero più tornati.

Ricordo la dedica posta all’inizio del libro (quella che potete vedere integralmente trascritta in cima a questa pagina): Théophile Gautier.

Chi era costui?

Ai tempi internet non esisteva (o, se esisteva, era agli albori) e, non conoscendo nessuno che potesse soddisfare la mia curiosità, presi il coraggio a piene mani e domandai del buon Théophile alla mia professoressa di lettere.

Oltre a lodare il mio precoce interesse per Baudelaire, la mia insegnate, dopo un sorriso di malcelata superiorità, si degnò di emettere la seguente sentenza: Baudelaire era stato uno dei più grandi poeti di tutti i tempi, ma, come ogni grande artista, era soggetto a incredibili capricci. Gautier era da considerarsi una figura secondaria nel panorama sterminato della letteratura francese.

Avevo, come detto, quindici anni e avevo ben altro a cui pensare, molte cose da sperimentare, troppo da scoprire, per cui, per molti anni, lasciai in un angolino del mio essere l’inesplorato Théophile, fino a che…

… Beh, citando il Woody Allen di “Io e Annie”, “ho sempre avuto dei problemi con l’autorità precostituita”: una decina d’anni dopo vidi in edicola, allegato ad un giornale, questi “Racconti” di Gautier. Non ci pensai due volte: aveva pur diritto di difendersi dall’ impietosa accusa della mia insegnate.

Théophile Gautier, probabilmente, è stato (assieme a Victor Hugo) il più grande propugnatore del Romanticismo nella Francia della prima metà dell’ Ottocento: romanziere (“Capitan Fracassa” la sua opera più popolare), poeta, pittore mancato, critico d’arte e letterario. La sua scrittura si è cimentata nei campi più disparati delle Lettere e, a differenza dell’afflato “sacerdotale” e sociale degli scritti di Hugo, le sue proposte hanno sempre avuto come perno una sola costante: la Bellezza.

Uno stile ricco, abbondante, lussureggiante. Periodi tesi come corde di violino e sofisticati come gli ingranaggi di un orologio, dettagli sviscerati fino all’ultima rifrazione di luce, fino all’ultima piega di un abito da sera. Parole come cascate di pietre preziose, fontane di luce che abbagliano con la loro perfezione formale e sintattica.

Questi “Racconti” ne raccolgono 16 (di lunghezza variabile) e sono posti in ordine cronologico; abbracciando venticinque anni di carriera danno modo al lettore di seguire nel tempo le cesellature, sempre più precise, di un maestro dell’artigianato letterario.

Almeno i due terzi della raccolta è composta da racconti “fantastici”: arazzi che si staccano dai muri, donne-vampiro, reminiscenze faustiane, reincarnazioni, maledizioni psichiche e infernali.

In tutti, la molla dell’ “inabissamento” è causata da una donna e, la donna di Gautier, si presenta sempre uguale a sé stessa, qualunque sia la storia: pelle d’avorio, linee sinuose da Dea greca,capelli biondi, anima palpitante… Insomma perfezione da scultura antica unita alla delicatezza e alla veggenza dell’ Ofelia shakespeariana.

Un'altra costante è l’importanza rivestita dal sogno, simbolo (ma forse è più corretto dire “specchio”) delle passioni più divoranti e delle paure più nascoste.

E’ molto interessante notare come, in questi due elementi ricorrenti, il laboratorio di Gautier si perfezioni continuamente negli anni, ricorrendo a ricercatezze qualificative sempre più esasperate e in giochi di prestigio linguistici sempre più abbacinanti.

Ritornando però ai racconti “fantastici”, non dobbiamo aspettarci quella sensazione strozzata di occulto che caratterizza le pagine di Poe o quelle suggestioni mistico-pagane delle storie di Gérard de Nerval (contemporaneo di Gautier e grandissimo, quanto inspiegabilmente dimenticato, autore): nel buon Théophile anche le foschie più astratte o i misteri più oscuri sono mostrati sempre con i contorni più nitidi, sotto la luce più sfavillante. Non c’è niente di non detto o lasciato da “completare” alla fantasia del lettore.

Vi sono poi dei racconti che chiameremo “archeologici” (ambientati nell’Antica Grecia, nell’Antico Egitto e nell’Antica Roma): quì, secondo me, c’è Gautier al suo meglio e la sua penna si può sbizzarrire in un profluvio di dettagli attorno a rovine di città morte, ad opulenti cortei matrimoniali, a labirintici palazzi principeschi. E’ quì che il suo amore per la Bellezza trova pane per i suoi denti ed è sempre quì che riesce a soddisfare in pieno il suo estro evocativo e la sua lingua lussureggiante e poetica (non è forse inutile aggiungere che la sua raccolta di liriche più importante, “Smalti e Cammei” del 1852, sarà un vero e proprio manifesto ante litteram del futuro movimento dei Parnassiani).

In questo suo interesse per le bellezze antiche possiamo forse trovare qualche punto di contatto con Flaubert, ma, mentre quest’ultimo adatta lo stile al tipo di storia narrata (come possiamo notare nei suoi celeberrimi “Tre Racconti”), Gautier, al contrario, domina stilisticamente i racconti che si piegano alle sue ferree regole estetiche.

Infine, nella raccolta testé presentata, ci sono un paio di racconti “tossici” che riguardano l’uso e gli effetti dell’oppio e dell’ hascisc (a riguardo, in un ideale linea temporale, possiamo dire che De Quincey ha iniziato, Gautier scandagliato, Baudelaire perfezionato e Michaux completato).

Dopo la sua morte, Gautier ha subito l’attacco di numerosi detrattori tra i quali è impossibile non citare Joris-Karl Huysmans che, nel romanzo “A Ritroso”, sosteneva, a proposito di Théophile, che “l’impressione degli oggetti si era fissata sul suo occhio sensibilissimo, ma era rimasta , non era penetrata oltre […] Al pari di un magico specchio, egli si era sempre limitato a riflettere delle apparenze con impersonale nettezza”.

Mi pare però una critica che non tiene conto delle intenzioni e della storia di Gautier (oppure Huysmans l’ha semplicemente sacrificato sull’altare del Decadentismo): era nato come pittore ed ha sempre conservato un amore smodato per le forme plastiche (tenendo conto che stiamo parlando della pittura della prima metà dell’ Ottocento) e, per sua stessa ammissione “il mio piacere più grande è stato quello di trasporre verbalmente statue, monumenti, bassorilievi, con il rischio frequente di forzare la lingua e di cambiare il dizionario in tavolozza”.

E’ possibile che la chiave per capire Gautier risieda nel racconto “Il Vello d’Oro” (forse non a caso composto a metà della sua vita e dunque posto a metà di questa raccolta) in cui il protagonista si innamora della Maria Maddalena di un quadro di Rubens e tenta di “armonizzare” la sua fidanzata secondo ciò che vede nel dipinto, salvo poi deprimersi per gli scarsi risultati ottenuti.

Per Gautier (da buon Romantico) la realtà è sempre stata un qualcosa di triviale e di inaccettabile che ha sempre cercato di ri-plasmare o migliorare grazie al virtuosismo della sua penna e, probabilmente, Baudelaire era nel giusto quando sosteneva che Gautier viveva la Bellezza come “mania irredimibile in chi ha perduto il senso del reale”.

Baudelaire e Gautier: forse i due estremi (l’uno torbido e oscuro, l’altro abbagliante e cristallino), i due maestri, le due facce di quella stessa medaglia dell’artificio letterario spinto ai risultati più maniacali.

La seduta è tolta, direi che Théophile si è difeso egregiamente e si è scagionato oltre ogni ragionevole dubbio dalle accuse della mia ex insegnante. Chissà se, ai tempi della mia domanda, aveva letto realmente qualcosa di Gautier o semplicemente non voleva seccature da un moccioso di quindici anni?

Nel dubbio, promulgo la mia sentenza finale:

ABBASSO LA SQUOLA!!!

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