Ci sono tanti che di fronte a qualcosa di nuovo che gli piace si entusiasmano, si eccitano ed esternano al mondo intero la loro gioia e contetezza per aver scoperto quel qualcosa, nel più breve tempo possibile. Io appartengo a quella classe di persone, spero tanto numerosa quanto silente, che di fronte a qualcosa di cui prima, si chiude, si interroga e, quasi vergognandosi per la propria sorpresa, cerca di analizzare quali possano essere le cause del proprio gradimento, parallelamente a una ricerca nelle proprie esperienze formative.

"The Richest Man in Babylon" esce nell'autunno dello scorso anno e mi ha subito rapito per la sua raffinatezza e la sua originalità, nell'ordine. Solo adesso, dopo essermi fatto accompagnare in media ogni settimana, dopo averlo analizzato in modo maniacale, comincio a definire i tratti di questo lavoro che, spero il tempo non mi sconfessi, va inserito tra i migliori prodotti della musica lounge tanto in voga in questo periodo, se non il migliore in assoluto.

La prima caratteristica della musica di questo lavoro che colpisce è il calore che riesce a trasmettere : ascoltate e fatte proprie quelle influenze dei suoni e delle melodie che, pur nate nelle più disparate parti del mondo sono riuscite a passare il vaglio della produzione discografica, il duo Newyorchese le fa proprie e le rielabora, tessendo con questi suoni una trama complessa, ricca, molto curata ma non barocca e sempre proporzionata. Tutto questo si traduce in quella sensazione che non riesco ad esprimere con un termine migliore che non "calore". Indubbiamente a fare questo effetto contribuisce non poco l'overture con la squisita voce della italo-irlandese Torrini, dove, insieme con il brano finale, i due sapienti autori toccano il punto più "popular" della loro elettronica, stile "Air" per intenderci. In questo modo danno un'impronta decisa allo svolgimento di tutto il lavoro in chiave Europeo-Statunitense, con intervalli d'ampiezza simmetrica e vocine sognanti, ma piano e basso elettrici netti e drums sostanzialmente secchi. Eppure, forse eccezion fatta per "the Outernationalist", brano cui non basta un'opera di "riammollo" per spuntare le tipiche schegge della radice dub, ogni brano in quest'album è pervaso da una gentilezza e da una delicatezza che predominano sullo scenario. E badate bene che, a differenza di tante altri lavori nello stesso genere, questo avviene indipendentemente dalla voce che interpreta i diversi brani o dalle venature di stili, non sfumature, che pervadono i brani stessi.

Mi ha sorpreso come questa caratteristica resti inalterata anche cambiando l'ordine di ascolto dei brani. Stupefacente poi il lavoro di ripulitura delle partiture quasi funk di "Liberation Front" e urban (o trip-hop o come volete voi) della title-track e di "The State Of The Union": per ottenere tali risultati non basta una perfetta padronanza tecnica della strumentistica elettronica, o forse non occorre nemmeno, però è indispensabile una vasta cultura musicale, oltreché una piena conoscenza di tutte le fasi che hanno attraversato la migliore dance hall mondiale, oltre al buon gusto. E trovo proprio nel buon gusto un'altra caratteristica di questo lavoro che pur appartiene ad un genere che ne dispensa poco e solo a tratti.

Partendo dalla differenza sopra accennata tra le "venature" qui presenti e le "sfumature", invece troppo spesso ricorrenti in altri lavori simili, potrei scrivere ancora molto per dimostrare quelle parti di originalità che s'incontrano nell'opera. Purtroppo, con la stessa evidenza appaiono anche i limiti (che ricondurrei senza tema d'errore alla mancanza di seri approfondimenti sui prodotti che hanno ispirato la creazione di "The Richest Man In Babylon"). Questi stessi limiti costituiscono anche l'unico handicap dell'album, altrimenti puro capolavoro che uscirebbe dal confine del proprio genere d'appartenenza .

Un'unica notazione per "Meu Destino", un brano cantato in portoghese (non è il solo, ne compaiono anche un paio cantati in francese) che, a qualcuno nel refrain potrà ricordare qualcosa del miglior Gragnaniello, tocca un momento particolare al minuto 1.50, nel passaggio dal bossanova puro all'elettronico: un momento che racchiude ritmo (bossa), dolcezza (inserimento nella struttura), espressività (la voce), energia (piano elettrico)... un momento di cui chiunque voglia relazionarsi al genere non potrà dimenticarsi. Poi ascolti "Exilo" e tiri fuori l'ultimo estratto conto dal cassetto, lasciandoti attanagliare dalla tristezza di non poter racimolare quei 1500 euro per andartene in Brasile...

Un album gradevole, delicato, omogeneo, mai uguale a se stesso. Merita di essere ascoltato e riascoltato più volte con la stessa attenzione.

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