Ci possono volere trent'anni di carriera per scoprire che quella canzone, rallentata, assume un tono tutto diverso. Più spettrale, un piccolo incubo ad occhi aperti. Come le poche note ripetute ad libitum di Daydreaming, la nuova versione del brano che ha benedetto e maledetto insieme la vita di Thom Yorke ha quel fascino malsano delle loro ultime produzioni. Un senso di bellezza sfuggente, percepita con la coda dell'occhio mentre davanti a te si squaderna un dolce inferno, un senso di precarietà e sterile routine, come se la musica di questo gruppo fosse ormai un arto fantasma che sentiamo ma non siamo sicuri ci sia veramente. Una band che vive postuma a se stessa, giocando con i suoi topoi. Un morto che cammina. Danza la decadenza e si nutre del suo stesso morire.

All is well, as long as we keep spinning

La dicitura recita Thom Yorke feat. Radiohead proprio perché il demiurgo lavora sulla carcassa ormai fredda del brano e ne stravolge il senso, come un dottor Frankenstein che cuce carni e dà vita a nuove mostruose creature. Così il cantante si diverte a togliere ogni sollazzo all'ascolto, angustiandoci con tempi dilatati e riverberi dall'oltretomba, vergando la salma innocente con scudisciate di sintetizzatori che vogliono far male. Esattamente come True Love Waits, la prima versione conteneva un implicito entusiasmo vitale pur recitando parole frustrate. Qui invece l'esuberanza sessuale del ragazzo è raggelata nella coscienza di sé dell'adulto che non soffre più, che in fondo un po' si compiace anche delle sue stesse sofferenze giovanili. Guarda in altri abissi ben più spaventosi.

Le questioni sono due. Il motivo per cui sfregiare così se stessi, e qui è facile capire la risposta. In una società che tutto fagocita, sminuzza, sovranalizza, digerisce e scarta, deforma e fraintende, lo stesso Thom non ha motivo di trattenersi dal maramaldeggiare sull'oggetto pop Radiohead, già ampiamente usato e defecato dal mondo intero. E allora chi più dell'autore ha il diritto di vomitare sulla sua stessa arte e riutilizzare quella merce che in tanti si sono passati di mano?

L'altro aspetto riguarda la bontà in sé dell'operazione musicale. E qui torniamo alle indicazioni emerse dall'ultimo disco. Una dialettica tra minimalismo e massimalismo, con una chitarra semplice e quasi scialba da una parte, la lentezza esasperante, e poi un profluvio di sintetizzatori dagli abissi della depressione pandemica. Una ferocia vista raramente che rimanda agli sberleffi più clamorosi dell'epoca Kid A, forse figlia di una nuova spregiudicatezza dell'artista che ha aperto un nuovo capitolo della sua vita dopo la morte dell'ex moglie. Anche il disco solista Anima non le mandava a dire. Intanto è nato il progetto The Smile che coinvolge Jonny ma non gli altri Radiohead.

Un remix come questo suona per me come un manifesto programmatico. Dove andrà a parare la nuova musica della band, o forse dove Yorke vorrebbe, ma non sono sicuro che gli altri siano così d'accordo. Perché le vertigini non sono (quasi) mai state così spaventose.

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