"La vita ed i sogni sono figli di uno stesso libro. Leggerli in ordine è vivere, sfogliarli a caso è sognare" (A. Schopenhauer)

Thrangh!! Onomatopeicamente è come sbatacchiare una saracinesca.

Non c'è più via d'uscita: Non c'è più continuità tra fuori e dentro. E' tutto fuori. Anzi, è tutto dentro quest'opera visionaria dove nel sussulto onirico ogni cosa avvampa ed attanaglia.

Thrangh è allora il rumore che produce la mente quando deve trovare una via di fuga.

Il titolo dell'opera è un artificio linguistico scivolato nella memoria di un sogno freudiano. L'analisi delle forme verbali, apparentemente senza senso, che appaiono nei sogni è il risultato del lavoro onirico mediante la loro condensazione. Ezerfilisch è "l'effetto velenoso" che sta ad indicare il rigetto insito nella mente di chi è vittima di un'educazione fuorviante.

Musica dis-educata, concepita attraverso un percorso su coordinate disattese che s'incontrano tuttavia al momento giusto. Un action-painting alla Pollock dove le pennellate ed i gesti cromatici sono la grafia musicale semi-anarchica che si ricostruisce in un'atmosfera tipica del sogno, o meglio, dell'incubo.

Una mazzata tra capo e collo. Quanto basta per lasciarsi sostenere dal getto di coscienza che suoni, così partoriti, ispirano.

<<Sii te stesso. Tutto il resto è già stato preso>> (O. Wilde)

Basta coi soliti giochini dei riferimenti. Thrangh è il Thrangh sound.

Art-rock spigoloso, noise debordante, jazz-core urlante. Uno sopra l'altro, uno accanto all'altro. Uno dentro l'altro. Una matrioska il cui seme feconda 48 minuti di strutturato cataclisma sonoro permeato da squarci improvvisativi e millimetriche calibrature. Insomma sentimento e rigore. Senza confini. Musicalità selvaggia e raffinata allo stesso tempo. Caos ed ordine. Un'entropia che rimescola il tutto e che tutto rimette a posto.

Sette tracce strumentali intercalate a cinque microbrani più meditativi messi lì come per riprender fiato.

Uno scenario improbabile senza logica apparente. Un coacervo di soluzioni galleggianti nell'amnios dell'avanguardia.

Il quartetto in azione sprigiona energia da tutti i pori. Un viaggio senza sosta. Una luce che acceca. Una boccata d'aria fresca.

Il cacofonico rumorre dei titoli fa da apripista alle note deglutite e vomitate in un vorticoso affresco sonoro. L'anima nuda e scorticata si riveste di pelle ed ossa ed il suo corpo adesso è sublimato dalla perizia tecnica dei quattro.

Aperture improvvise guidate dai virtuosismi del sax, peripezie che graffiano ed accarezzano i timpani. Escrescenze rumoristiche talora conducono il gioco attraverso lo sfregolio della sei corde e dal picchiettio sui pick-up. Variazioni armoniche e deflagrazioni collettive si rincorrono fino ad impossibili soluzioni estreme. Sax e chitarra s'intrecciano spesso abusando l'uno dell'altra, senza scrupoli. Sperimentazione e delirio. Ma anche fraseggio e meditazione, guidati dalle pulsioni di un basso elettrificato e distorto che fa da segnapassi. Con grande coraggio le percussioni completano il quadro accorciando o dilatando i tempi sempre con appropriato senso estetico.

Una seduta psicoanalitica di circa un'ora attraverso uno tsunami sonoro che parte all'assalto, un corpo a corpo senza esclusione di colpi.

Ezerfilisch è un linguaggio.

Ezerfilisch è un motto dello spirito, un atto di ribellione.che nasce dal sogno.

Scuote l'anima

e arriva al cuore.

Fine del disco.

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