Perviene al termine, con l’opera in oggetto, la stagione giovanile, intensa e fruttuosa di questo gruppo californiano. Avevano iniziato al momento giusto, nel 1969 quando l’”esproprio” della musica nera americana (blues, rhythm&blues, rock’n’roll, gospel, perfino jazz) da parte dei bianchi era giunto al punto di non ritorno, travolgendone gli originali parametri con tutti i tipi di variazioni ed infiltrazioni di altri generi, sfondando definitivamente nel mercato discografico mondiale.

L’idea alla base del progetto Three Dog Night era stata peculiare e accattivante: tre dotate voci soul bianche, bianchissime, impegnate ad interpretare o coverizzare con creatività composizioni altrui, in parte di musicisti bianchi già per loro conto “derivati” dai maestri neri (Newman, Elton, Sayer, Axton, Winwood…) oppure direttamente alla fonte primaria (Cooke, Gaye, Wonder, Robinson…).

Il disco qui presente, anno 1976 e decimo in studio, viene registrato senza uno dei tre cantanti ovvero Danny Hutton, ricoverato in clinica per disintossicarsi. In realtà compare alla voce solista in una delle canzoni (“Mellow Down”), ma solo perché essa era registrata e pronta da tempo, essendo uno scarto dell’album precedente. Al suo posto evolve Jay Gruska già utilizzato, ma solo come compositore, nel disco dell’anno prima. Chuck Negron invece a un certo punto finirà pure in galera per qualche tempo, beccato dalla polizia con una robusta quantità di sostanze fuorilegge, nei camerini del primo concerto della tournée promozionale a quest’album.

Se ne erano andati, a un certo punto delle registrazioni, anche un paio degli strumentisti storici del gruppo, cosicché per terminare il lavoro vengono assoldati session men, tipo il povero Jeff Porcaro futuro batterista dei Toto, davvero infilatosi nei dischi di TUTTI quelli che hanno registrato a Los Angeles negli anni settanta e ottanta.

La nascente disco music fa in tempo ad influenzare, seppur episodicamente, l’imperante atmosfera rhythm blues del lavoro, ma è una diversificazione non utile. Si respira anzi aria di smobilitazione, di appagamento. Le voci sono sempre splendide e potenti, la scelta dei brani variegata (stavolta compongono George Clinton, Alan O’Day, Andy Fairweather-Low, Bob Carpenter e altri) ma insomma il disco vende pochino. I TDN stanno passando rapidamente di moda e ciò provoca scoramento, distrazioni, attriti.

E allora si fermano qui, almeno nella produzione di nuovi dischi. Restano comunque i concerti, intanto che si rincorrono defezioni o cattiva salute di qualcuno, scovando sostituti, andando in qualche modo avanti. Gli anni passano, musicisti e cantanti entrano ed escono dal gruppo, stanno via per anni e magari ritornano dopo un decennio.

Negli anni ottanta esce solo un EP (Extended Playing) con cinque nuovi contributi, immemorabile e trascurabile, senza fortuna. A metà decennio una delle colonne della band il cantante Chuck Negron viene cacciato, perché sempre fatto come una pigna, e non tornerà mai più con loro. Il collega Danny Hutton, quello che sembrava messo peggio di salute in passato, invece si ricompone tornando ad assumere il suo ruolo centrale (era stato il fondatore dei TDN). Gli anni passano veloci e la congrega tira avanti con qualche tournée ogni tanto, generalmente con il ruolo vocale di Negron assunto dal nuovo bassista/chitarrista, che sa anche cantare.

E si giunge così all’anno 2002… (continua).

Elenco e tracce

01   Everybody's A Masterpiece (02:45)

02   Easy Evil (03:58)

03   Billy The Kid (03:41)

04   Mellow Down (03:00)

05   Yellow Beach Umbrella (04:56)

06   Hang On (04:18)

07   Southbound (04:11)

08   Drive On, Ride On (03:32)

09   Dance The Night Away (04:41)

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