Continua imperterrita la formula musicale dei Three Dog Night, giunti alla metà esatta degli anni settanta con quest’album affine ai precedenti per quanto riguarda l’idea di fondo. Vale a dire la rigogliosa personalizzazione di un pugno di composizioni altrui, abbastanza eterogenee fra loro ma tutte fatte convogliare verso quel loro rock/rhythm&blues melodico e molto, tantissimo vocale.
Gli autori chiamati in causa su “Coming Down Your Way” sono per buona parte degli habitué per loro come Randy Newman, Dave Loggins, Allen Toussant, Gary Stovall, Daniel Moore. Le nuove firme che si affacciano in quest’album sono invece quelle di Jay Gruska, Jack Lynton, Jeff Barry e Gregory Grandillo (chi? Il primissimo chitarrista della James Gang, forse). Come nella media di carriera, giusto una traccia originale del gruppo si mischia alle altre, stavolta la mediamente incisiva “Night Flyer” dell’ultimo arrivato nella band Skip Conte, tastierista proveniente dai Blues Image..
Spicca nel lotto un brano che avrà grande fortuna, però solo dopo anni ed anni dalla sua prima pubblicazione. Mi riferisco a “You Can Leave Your Hat On” che né interpretato dall’autore Newman nel 1972, né in questa versione di tre anni dopo dei TDN, ebbe consensi minimamente confrontabili a quelli incassati da Joe Cocker, una volta inserito il suo contributo in colonna sonora durante lo spogliarello di Kim Basinger, nel blockbuster del 1986 “Nove settimane e 1/2”. Merito un po’ di Cocker, un po’ del film e molto della Basinger, per me almeno. DI buona qualità comunque la versione dei TDN contenuta in questo disco.
Altra piacevolezza da segnalare è “Good Old Feeling”, un soul rock con Cory Wells che pare John Fogerty dei Creedence, mentre riguardo i potenti cori organizzati insieme ai suoi due compari sembra di sentire in azione un’intera sezione gospel, con tanto di panze, ondeggiamenti, vestiti lunghi chiesastici, mani alzate e tutto.
“Kite Man” ha dei punti perché parecchio psichedelica, armonicamente insolita e ricca, ma è parzialmente deturpata da un cattivo uso del sintetizzatore ARP (che però fa anche tenerezza, così vintage California anni ’70… ma la vendevano solo a Los Angeles ‘sta macchinetta?). Più figa la conclusiva “Yo Te Quiero Hablar”, con Chuck Negron che si esibisce in un leggiadro spagnolo chicano per tutta la canzone.
Disco fra i meno incisivi di carriera a tirar le somme, ma me lo tengo stretto insieme agli altri in ciditeca perché sta ben oltre la sufficienza. Three Stars for Three Dog Night, in questo caso.
Elenco e tracce
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