Registrare e pubblicare un album alle volte è quasi come un vero e proprio parto. I Three Dog Night nel 1974 esagerano sull’argomento e lo scatto di copertina del loro disco di quell’anno immortala la… sua nascita, la madre essendo una curiosa bambola/pupazzo con arti inferiori assai alieni. Interessante il primo piano del carrello degli strumenti con tutta la serie di forcipi, pinze, bacinelle e altri ferri del mestiere, mischiati però a microfoni a condensatore (uno se lo tiene stretto in mano l’infermiera) e dinamici, fra cui uno Shure SM57, certamente più utile messo davanti al cono di un ampli che lì, in sala parto. Che buontemponi!
Lo credereste? Nella bigotta America ben presto obbligarono la casa discografica a mettere una fascetta sopra la zona della “nascita”, prima di cartoncino rimovibile poi proprio stampata direttamente: merce per collezionisti compulsivi… negli anni novanta fu infatti, e per fortuna, ripristinata la copertina originale.
Stavolta muta qualcosa nel suono, nell’impatto musicale dei Three Dog Night, fin lì abbastanza omogenei in tutti i loro precedenti lavori in studio. Gli è infatti che cambia il produttore, dopo tanti lavori presieduti da Richard Polodor, inoltre un secondo tastierista si affianca al buon Jimmy Greenspoon, che sceglie di concentrarsi sui soli pianoforti. Infine, viene deciso un sensibile ridimensionamento dei cori… I tre frontman continuano in ogni caso a suddividersi come sempre più o meno equamente il proscenio, incluso il consueto episodio cantato da tutti e tre, con frasi ad inseguimento: “On the Way Back Home” del fido Daniel Moore, quello del mega hit dell’anno prima “Shambala”.
Spettacolare l’intro circense dell’album, col breve accenno di un motivetto in testa a chiunque. Poi si passa al solito saccheggio di autori/compositori… Il menù stavolta contempla cose di John Hiatt (in questa cover di “Sure As I’m Sitting Here” vi sono anche plurime tirate di sciacquoni! Da ascoltare…), Larry Weiss l’attore/musicista, il sempre presente Daniel Moore, il giamaicano Jimmy Cliff, il multi strumentista canadese Skip Prokop leader dei Lighthouse, il già coinvolto in altri lavori Allen Toussaint ed infine il cantautore inglese Leo Sayer, in quegli anni sulla cresta dell’onda.
Il fondatore dei TDN Danny Hutton comincia qui a “battere in testa”… Si fa vedere poco in studio perché alle prese con alcool e cocaina e relative disintossicazioni. Canta solo in un brano (quello di Jimmy Cliff), e la sua grintosa voce si sente poco anche nei cori.
Gli episodi migliori mi paiono “I’d Be so Happy” dei Lighthouse, deliziosamente sessantiana, affidata a Negron; poi il rhythm&blues “Play Something Sweet” di Toussaint, urlato bravamente da Cory Wells; indi la già evidenziata, corale, rigogliosa “On the Way Back Home” vero esempio di canzonetta normalissima resa sublime dal lavoro composito, quasi gospel, delle tre mirabili ugole; infine “The Show Must Go On” di Sayer, ovvio e indimenticabile capolavoro dell’album, con tutto quel gaio circo prima, durante e in fondo e con quel rallentamento micidiale del tema, seguito da una definitiva chiusura di porta cigolante. Negron, a gargarozzo stretto e straccia tonsille, si esibisce per l’occasione in un raglio virtuoso degno del miglior James Brown, con in più tanta ironia.
Buon disco, quattro astri.
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