Il quinto album dei Thunder è senza ombra di dubbio quello meno hard rock di carriera: il pianoforte e le chitarre acustiche vi occhieggiano spesso e volentieri... mai state assenti ma stavolta più spesso del solito, riempiendo l'album di ballate e semi-ballate, sempre nerborute e virili ma comunque ariose e rotonde, ben lontane dalla massima energia che un gruppo simile può esprimere.
La coppiola iniziale di brani è esplicativa in merito: ci si muove su quel terreno elettroacustico, con le chitarre plettrate a tutto braccio, proprio di gente tipo R.E.M., Tom Petty... insomma per tre quarti rock e per un quarto pop, ché la voce fortemente blues di Danny Bowes non consente di andare oltre verso il commerciale. Molto bella comunque la seconda canzone "All I Ever Wanted" che scorre notevolmente melodica, equilibrata e ben arrangiata, in una parola elegante.
La particolarità della canzone d'apertura invece è quella di avere due titoli: l'originale "Just Another Suicide" fu censurato (!) dalla casa discografica e il quintetto dovette ripiegare sulla frase del coro "You Wanna Know", pensa te.
La canzone che intitola l'album, uno dei suoi momenti salienti, pesca invece da certe cose di Lennon (la strofa che si incaponisce in una filastrocca bitonale, nonché il ponte con la voce equalizzata tipo megafono, rimandano direttamente all'avanguardistico capolavoro del 1967 "I'm the Walrus" del povero John) per poi esibire più in là un delizioso assolo di chitarra ritmica mezzo funky e tutta classe.
"You'll Still Need A Friend" è di rara insipienza ma serve ad accogliere con aumentato piacere il primo poderoso hard rock della raccolta, quando siamo già alla posizione numero 5. "Rolling the Dice" rocckeggia che è una bellezza e rimanda allo stile più tipico della formazione, un gran bel rock blues che porta insieme le eccellenze della potenza, della trascinanza, dello swing e della bella produzione. Finalmente Bowes tira quattro urli dei suoi e spinge fuori della strozza tutto il suo talento.
Ballata decisamente pianistica la successiva "Numb", col cantante che rientra nei ranghi ma è sempre un bel sentire, e Ben Mattews (il secondo chitarrista che cura anche le tastiere) al proscenio. Per quanto riguarda la prima chitarra, a nome Luke Morley, il discorso è sempre lo stesso: grintoso, sensibile, competente, abile e simpatico figlioccio dei Jimmy Page, dei Jeff Beck, degli Angus Young e di qualche altro luminare del rifferama rock blues... assolutamente brillante in fase ritmica e, per contraltare, anonimo in fase solista. Gli assoli, nei Thunder, risultano essere momenti di passaggio e non certo canzoni entro le canzoni: proprio come succede agli AC/DC, ad esempio.
Il consueto rock-funky, presente in ogni disco dei Thunder, stavolta risulta essere una cover ed anche piuttosto celebre, vale a dire l‘one-hit-wonder dei Wild Cherry "Play That Funky Music", quattro minuti scuoti chiappe che spopolarono in tutto il mondo ad anni settanta inoltrati, in piena era dance, per poi con gli anni assumere lo stato di classico comparendo in film, sigle e serial televisivi a iosa.
Il resto procede fino alla fine senza grossi scossoni: il disco è soddisfacente ma non entusiasmante... manca qualche bel riffone in più, c'è meno energia che nella media della discografia di un gruppo grandemente energico quali sono i Thunder. Sempre classe e competenza da vendere, comunque, nell'ambito di una musica che bada al sodo e resta attaccata ai solidi principi del British Blues, inventato negli anni sessanta ma degnamente portato fino a noi da gente come questi cinque.
Elenco e tracce
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