Vi interessa un gruppo che suona puro rock blues inglese anni '70 (Led Zeppelin, Bad Company. . .), zero originalità ma ottimo songwriting, grande passione e "tiro", voce che spacca e i suoni strapotenti e dinamici possibili nell'era digitale? A me moltissimo. Quando c'é cuore, intelligenza, coesione, grinta il fatto che ci si appoggi al 100% su forme musicali sintetizzate e già sviluppate da altri passa in secondo piano. Una canzone é una bella canzone, e non lo é necessariamente perché profuma di nuovo, i Thunder sono "arrivati lunghi" di vent'anni, su questo non ci piove, ma fanno grandi canzoni in cui picchiano duro e con classe ed io li adoro per questo. Sono tuttora in attività, al settimo album se non erro. In Gran Bretagna, dove iniziarono col botto nel 1990 (primo album "Back Street Symphony" vendutissimo) per poi essere sacrificati come tanti altri sull'altare di rap e grunge, hanno ancora buon seguito, qui in Italia purtroppo non se li é filati nessuno o quasi.

L'album qua sopra, con questa cover così orrenda, é il loro secondo, pubblicato nel 1992. I punti di forza dei Thunder sono innanzitutto il canto di Danny Bowes, intriso di blues, grintosissimo, potente, accorato, degno erede dei giovani Rod Stewart e Paul Rodgers. . . e poi il tizio che siede dietro le pelli, che si chiama Gary James, per gli amici Harry. Non gli daresti una lira a vederlo: é un pelatino, mattacchione di suo, che ama aprire i concerti cantando "New York New York" su una base preregistrata, vestito da pirla con bastone e garofano all'occhiello. Un secondo dopo la fine del pezzo i roadies gli sfilano il vestito, rimane in pantaloncini e maglietta, percorre i cinque metri che lo separano dalla sua batteria. . . ed esplode un "acciaccatura" di partenza al concerto da far tremare il palco che neanche John Bonham! Credetemi, non ci sono Carmini Appici Cozy Powell Denny Carmassi che tengano, se vi manca Bonzo e volete sentirne un surrogato vivente assai plausibile, il batterista dei Thunder é l'uomo giusto: stesso stile, cannonate di cassa e rullante e via andare, con ottima tecnica e gusto peraltro. La musica dei Thunder é generata dalla classica intesa cantante/chitarrista, sono loro a comporre i pezzi e a dare direzione al gruppo. L'axeman in questione si chiama Luke Morley e sa il fatto suo, é un tantino anonimo nello stile ma mette le note giuste nei punti giusti con un sano "feeling" e compone trascinanti riffs e belle melodie. C'é un secondo musicista che suona la chitarra nel gruppo (un quintetto) alternandola però alle tastiere e rendendo il suono più pieno e vario. Si chiama Ben Matthews. Dal vivo e nelle foto i due chitarristi sono facilmente distinguibili essendo Morley un mancino. La lineup é completata naturalmente dal bassista, l'unica figura in frequente cambiamento nel corso della carriera del gruppo. Se ne sono alternati tre o quattro sino ad oggi e in questo album suona un certo Mark Luckhurst detto "Snake". Partenza fragorosa di "Laughing. . . " col primo brano "Does It Feel Like Love" in cui un arpeggio di acustica viene subito trapassato dalla voce tesa di Bowes e poi ingoiato dall'esplosione ritmica: gran musica, ma il capolavoro é la traccia numero tre "Low Life In High Places" dinamicissima nel suo sviluppo acustico con dinamitardo intermezzo elettrico. Matthews lavora bene all'Hammond in "Empty City" e Bowes tocca il cuore recitando bei concetti su "A Better Man". . . ma tutto l'album si mantiene a livello costante di songwriting, senza particolari picchi ma neanche riempitivi.

Se siete rocchettari e senza la puzza al naso dell'attuale a tutti i costi, é roba che fa per voi.

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