Sono sempre stato abbastanza reticente nel parlare di certi artisti che conoscono in quattro gatti spelacchiati e della cui esistenza, in fondo, non frega una minchia a nessuno. Ne vale davvero la pena? Quante volte mi è capitato di passare per alcune recensioni e leggere commenti default (anche miei!) del tipo "proposta interessante, ascolterò", salvo poi constatare che quell'interesse si era silenziosamente dissolto nella pigrizia e nell'indifferenza? Eppure, a ben pensarci, non avrebbe nemmeno senso disquisire sempre dei soliti noti, certamente più gettonati ma di cui può essersi già detto tutto e il contrario di tutto.

Alla fin fine la riluttanza mi rimane, e non a torto; tuttavia da un po' di tempo meditavo di ovviare alla piccol(issim)a lacuna del magico DeDatabase dedicando qualche sparuta recensione agli ungheresi Thy Catafalque, band solo di nome dal momento che l'unico autore di musica e testi (rigorosamente in lingua madre) di tale portentoso progetto avantgarde metal è lo scaltro volpino Kátai Tamás, poeta, fotografo e, a quanto pare, eclettico musicista polistrumentista.

L'evoluzione di questa one man band (occasionalmente arricchita da musicisti di sessione) ha seguito un percorso abbastanza paradigmatico, con esordi acerbi all'insegna di un raschiante black che lasciano comunque trapelare un'insolita attitudine alla sperimentazione e alle contaminazioni elettroniche, di fatto ben più presenti a partire dall'atipico "Tuno ido tárlat" (2004), molto più personale e interessante ma ancora minato da una produzione non all'altezza e da un songwriting sicuramente perfettibile.

Il vero colpaccio viene infatti assestato con l'eccellente "Róka hasa rádió" (2009), già totalmente fuori dagli schemi e partorito da un artista finalmente consapevole delle proprie capacità e in grado di avventurarsi negli impervi territori dell'avanguardia. E, se "Róka" rappresentava il picco evolutivo dei Thy Catafalque, questo "Rengeteg" costituisce il lecito e perfetto consolidamento di una formula da poco sperimentata. Rispetto alle altre uscite Thy Catafalque forse viene meno un pizzico di originalità a discapito di un approccio ai limiti dell'easy listening (se confrontato con gli standard qualitativi di oggi resta comunque un lavoro più unico che raro!), ma allo stesso tempo pare proprio che il buon Tamás si sia divertito a buttare al fuoco qualche montarozzo di carne in più!

Quindi quale sarebbe la formula di cui sopra? Il linguaggio con cui si esprime Thy Catafalque è fatto di paradossi: pesantissimo e corposo nei suoni, ma sensibile e poetico nell’animo; tritaossa nella componente più strettamente metallica, ma eclettico e fantasioso nella cura degli arrangiamenti e nelle melodie cantilenanti, dal sapore vagamente gypsy; insomma, la sua scorza di cemento armato saprebbe soddisfare il classico medallino intransigente in cerca di headbanging sfrenato, eppure un'immensa sensibilità artistica celata sotto le cataste di riff granitici è sempre a disposizione per l'ascoltatore più attento. È il cuore di Tamás, perennemente sospeso tra ricordi d'infanzia, filastrocche autunnali, suggestivo folklore e fantascienza allucinata.

Facile intuire che la terra d'origine dell'autore è stata una grande fonte d'ispirazione, e in questo potrebbe ricordare un altro grande gruppo dell'Est Europa, i rumeni Negura Bunget; ma i parallelismi terminano lì, perchè laddove i Negura si fanno veri e propri sacerdoti della tradizione (con tanto di tonaca!) e cantori di un passato misterioso, Thy Catafalque fa viaggiare il folklore nello spazio e nel tempo, lo filtra e lo trasfigura, in un certo senso travalicando il concetto stesso di tradizione. Avantgarde, appunto.

Ma davvero si può parlare di "avanguardia"? Certo, per il semplice fatto che Thy Catafalque, aldilà di appartenere al fin troppo onnicomprensivo genere "metal", non assomiglia a nessun altro progetto e sembra proprio spuntar fuori dal vuoto siderale con un bagaglio di ideuzze incredibilmente fresche, coerenti e soprattutto "uniche", dispensate con equilibrio su entrambe le facce della medaglia: dalle sfuriate vertiginose a base di pestaggi in drum machine e chitarroni ultrameccanici ("Minden test fu", "Fekete mezok") alle cafonissime danze spaziali di "Trilobita" o "Kel keleti szél", passando per la monumentale "Vashegyek", immancabile maratona di ventordici minuti che alterna visioni di paesaggi lunari inanimati ad aspre incursioni metallifere; oppure, se preferite qualche via un cicinin più accessibile, fanno al caso vostro le commoventi parentesi folk di "Ko koppan" e "Az eso, az eso, az eso", filastrocche umbratili che profumano di terra bagnata... Momento momento momento, ma non erano mica due le facce della medaglia?

Guardare il mondo con gli occhi di un bambino e il cervello di un'entità semialiena: in tal modo riassumerei la poetica di Thy Catafalque, in grado di coniugare così tanti umori a un'invidiabile ricerca/sperimentazione sonora senza sforare minimamente nel pretenzioso o stomachevole.

Alla faccia di chi cerca di fare avantgarde metal ma finisce per sbrodolarsi addosso in soluzioni altamente improbabili; alla faccia delle orde di irritanti gruppi folk metal birraioli che si bruciano le idee dopo mezza canzone; alla faccia di chi vuole integrare nuovi elementi nella sua musica ma si scorda che quello che sta suonando è, prima di tutto, il fottutissimo metallo.

4,5/5

Carico i commenti...  con calma