"The girl opened her mouth, 
I opened my veins 
The girl opened her heart 
I opened the door to another world"

"Undressed"

 Nonostante per molti il capolavoro indiscusso dei Tiamat, nella loro ormai quasi ventennale carriera ("Sumerian Cry" è stato pubblicato nell'89), sia "WildHoney", mi piace pensare che forse non tutti hanno colto la bellezza di cui è intriso questo "Clouds", così emozionale e intimo, ma allo stesso tempo rude e ribelle.

Partiamo col dire che siano nel 1992 e che ai tempi la scena death è in grandissima ascesa, il mondo del metal ha definitivamente scoperto e accettato la sua costola più estrema, riuscendo, alla lunga, anche a sfruttarne il lato più correlato al music-biz (pasti pensare al successo di vendite dei Sepultura di "Chaos A.D." o più in piccolo alle 300.000 copie vendute dagli Obituary di "The end complete").

In questo magma ribollente ormai non più allo stato primordiale, già alcuni gruppi hanno iniziato percorsi dissimili verso lidi creativi non particolarmente battuti: così  i Paradise Lost passano dal sulfureo "Gothic" al più accessibile "Shades of God", mentre gli Anatema con "The Silent Enigma" si appresteranno a smorzare l'efferatezza e le ruvidità di "Serenades" . E i Tiamat? Alla fine degli anni '80 presero parte alla nascita della scena death scandinava, rinunciando però già in partenza a quelle sonorità che resero poi famosi gruppi come Entombed, Dismember, Grave et simila, pur mantenendone struttura e soprattutto testi di chiaro stampo occultistico/satanico, usanza questa che a tuttora non hanno perso (vedasi i testi dell'ultimo "Prey").

Dopo "Sumerian Cry" e "The Astral Sleep" , quest'ultimo davvero una deliziosa piccola perla musicale, i nostri (o meglio il leader e maggior compositore Johan Edlund) decidono che sarebbe stato il caso di discostarsi maggiormente dal trend e pubblicano "Clouds": i retaggi death/doom, ancora fortemente presenti soprattutto nella vocals, vengono interlacciati con magniloquenza da sofferti ma sempre azzeccati inserimenti di tastiera, delicate partiture pre "gothic era" emergono chiaramente, disseminate nell'arco di sviluppo dell'intero disco.

L'album si presenta chiaramente non come un concept, ma onestamente durante i circa 40 minuti di musica proposta, le atmosfere sognanti spesso quasi soffuse, ovviamente condite con qualche sfuriata in particolar modo come sottofondo a passionali e sensuali assoli, danno l'idea di una notevole continuità d'intenti non essendoci song troppo dissonanti tra loro. A questa omogeneità, che non significa pezzi in fotocopia, si inseriscono anche le lyrics, spesso incentrate su temi sentimentali, amore (anche verso Satana), delusioni ed osservazioni sulla bellezza e profondità dell'universo.

Nel caso di "Clouds" forse la descrizione track-by-track non è molto funzionale, poiché nelle singole songs non sia hanno così repentini cambi o variazioni da giustificarne la minuziosa descrizione: bisogna solo entrare "in un sogno" e lasciarsi pervadere dalle meravigliose sensazioni sonore che pezzi come l'opener o "A caress of star" sanno regalare, struggersi sulle note di "Forever Burning Flames" e "The Sleeping beauty", per poi risvegliarsi nella sofferenza di "Undressed".

Davvero centrato anche il contesto grafico che accompagna il disco, ad opera del grande Kristian Wahlin, che riesce con pochi ma deliziosi disegni a concentrare le emozioni che il disco sa esprimere, catturando la vera essenza di "Clouds".

Personalmente il disco che emozionalmente preferisco dei Tiamat.

Carico i commenti... con calma