Si legge che è un autore svedese, e che Tim Davys sia uno pseudonimo.

Storco il naso... non certo per lo pseudonimo (io, poi...): per quel che attiene la mia limitata conoscenza della letteratura nordica, s'alternano cose egregie (Passilinna e Lindqvist) a cose insostenibili (il tanto lodato Larson, a casa mia, è volato dall'altra parte della stanza intorno a pagina 80 del primo capitolo dell'osannatissima trilogia...).

Ma questo non vuol dire: cosa potrebbe pensare uno svedese se si trovasse per le mani un libro di un italiano...? A vendite, ragazzi miei, chi ci rappresenta oggi è Moccia....

Ma veniamo al libro. Non male e non bene. Un noir interessante, scritto piuttosto bene, con qualche introspezione psicologica acuta e qualche altra d'imbarazzante banalità (magari fondata...però...), e una struttura ed uno stile che tengono. Per carità: non t'appiccicano alla lettura in quel modo bello e ossessivo del non poterne fare a meno fino all'ultima pagina, ma l'opera si lascia leggere.

Unico, gigantesco dubbio: ma perché cazzo tutti, dico tutti, sono orsachiotti?

E qui ammetto e confesso d'aver avuto amletici dubbi personali, introspezioni senza risultato, sensi di colpa sull'inevitabile ignoranza che tutti c'attanaglia....

Che significa? C'è una "scuola orsachiotta" che ignoro colpevolmente? C'è qualche segreto che non riesco, o non voglio, comprendere? È una prova? Uno scherzo? Un trucco?

Insomma, perché?

Spero davvero qualcuno sia in grado di spiegarmelo, anche perché se si trattasse di un semplice espediente non saprei davvero come pensarla, se non come un'inenarrabile ed oltraggiosa cazzata.

In sintesi: un buon noir, un po' piattino, completamente abitato da orsachiotti.

Son perplesso.

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