“E cu spacchi-iè Tina Tanne?!?!” esclama mio cugino Enzo e la domanda, in contrasto con l’enfasi della presentazione di Pippo Baudo, scatena l’ilarità generale. Certo, oggi la domanda rivelerebbe una certa ignoranza, cosa di cui Enzo è fieramente permeato, ma siamo nella primavera del 1979 e pochi, in Italia ed in Europa, conoscono Tina Turner, figurarsi lui che nello stereo della 127 gira e rigira la cassetta “A zita pilusa” di Brigantony, la risposta catanese a Leone di Lernia. Comunque devo ascrivere a mio cugino il merito di avermi fatto conoscere, oltre le perle di Tony, anche i film di Karate più ignobili - per capirci quelli costruiti con il solo stratagemma di posizionare la cinepresa a livello pavimento - ed i “gionnaletti vastasi” quali “Il Tromba”, “Il Montatore, “Lando”, ecc. Tutte cose fondamentali per la formazione di un preadolescente all’alba degli anni ’80: gli anni nei quali Tina diventerà una star mondiale ed io un adolescente infoiato alla vista delle sue cosce!
Oggi, che sono già trascorsi due anni dalla sua scomparsa ed io sono alla 59esima primavera, il mondo intero riconosce in lei più che una semplice artista, una forza rivoluzionaria che ha sfidato e sconfitto l’industria musicale. Età e genere, un tempo limiti che incatenavano saldamente molte artiste, sono stati ridefiniti semplicemente dalla sua esistenza. Una vita che oggi tutti conoscono, anche perché perfetta per farci un libro, un film o un musical. E, infatti, la storia di Tina è stata raccontata nella sua autobiografia, nel film “Tina – What's Love Got to Do With It” e in un musical di Broadway. Inutile aggiungere altro qui. Qui voglio parlare di come sia riuscita a diventare una superstar grazie all’album recensito.
Pubblicato nel 1984, non fu solo un trionfo di critica e pubblico (con oltre 12 milioni di copie vendute in tutto il mondo, nel 2020 è stato selezionato dalla Biblioteca del Congresso per la conservazione nel National Recording Registry in quanto “culturalmente, storicamente o esteticamente significativo”) ma rappresentò l'incarnazione di tantissime cose che caratterizzeranno gli anni dell’edonismo reaganiano, a partire dal nuovo taglio di capelli punk sfoggiato dalla cantante in copertina. Dopo un divorzio tumultuoso dal marito e partner musicale Ike Turner, aveva trascorso anni a ricostruire la sua carriera con scarso successo. Alla fine degli anni '70, Tina si esibiva regolarmente nei locali e cabaret di Los Angeles, cimitero di carriere un tempo scintillanti; piena di debiti era volata fino in Italia per esibirsi a “Luna Park” finendo per diventarne ospite fisso. Cosa non si fa per mantenere sé stessa e i figli! Tra pochi alti (supporter nel Tattoo You World Tour degli Stones) e tanti bassi fu così per un po’ di anni, fino a quando decise di prendere il toro per le corna ispirata dal continuo successo di quegli amici del mondo del rock, come i Rolling Stones, Rod Stewart e David Bowie.
Il rock, la poetica del rock è indispensabile per capire la storia. “Il rock'n'roll è bianco, fondamentalmente perché i bianchi non hanno avuto grossi problemi, quindi scrivono di cose molto più leggere e divertenti. Dato che non ero più depressa, volevo cantare canzoni che non fossero deprimenti. Non volevo salire sul palco e cantare di tradimenti a tua moglie o a tuo marito davanti a quei ragazzi, perché non potevano capirlo, volevano divertimento e risate: il rock'n'roll è pieno di energia, è malizioso!” spiegherà Tina in un'intervista del 1992 alla BBC. Anche se realmente questo album è una raccolta di brani che abbraccia il nascente sound new wave, incorporando elementi di synth-pop, soul e rock. E oggi, forse, il suo limite è proprio quello di essere una produzione sfacciatamente anni '80 con drum machine, synth e sassofono sdolcinato ben presenti, sebbene la voce della Turner sia impeccabile in tutto e per tutto.
La realizzazione di questo lavoro derivò dalla concomitanza fortunata di una serie di fattori. Primo dei quali uno di quei momenti fortuiti in cui un artista si trova nel posto giusto al momento giusto, Tina ricevette un'offerta da Martyn Ware degli Heaven 17 per cantare in una cover di “Ball Of Confusion” dei Temptations per il loro progetto parallelo dei BEF. Il brano ebbe il merito di presentare la Turner sotto una nuova luce dimostrando la sua capacità di proporre materiale contemporaneo. Inoltre Tina, dopo vent'anni di carriera, aveva comunque coltivato solide amicizie tra gli artisti del mondo rock, e furono proprio queste ad aiutarla a convincere tutti della bontà del progetto cui furono chiamati a collaborare – tra gli altri – lo stesso Ware, anche coproduttore e con il suo compagno di band Glenn Gregory ai cori, Jeff Beck alla chitarra in “Private Dancer” e Gary Barnacle al sax in “Let’s stay Together”.
L’apertura è affidata alla significativa e autobiografica “I Might Have Been Queen”, che fissa subito il mood generale. Ma il singolo trainante è “What’s Love Got To Do With It” che rende perfettamente il connubio sonoro tra fra rock e southern soul e che diventerà il suo riconoscibilissimo marchio di fabbrica. Questa canzone permette alla voce di Tina di mostrare come riesce a gestire suoni più caldi e ricchi, e di alternare parti dolci e potenti nel ritornello. Sicuramente la già “Acid Queen” avrebbe preferito che il pezzo trainante fosse qualcosa di più rock ma c’è poco da recriminare, dato che da questa pietra miliare furono estratti ben sette singoli, pubblicati al di qua e al di là dell’Atlantico, a dimostrazione della compattezza e della profondità dell’opera. “Show Some Respect”, invece, è un brano rock martellante, punteggiato da un riff di chitarra funky e molto più in linea con ciò che Tina aveva in mente. In “I Can't Stand The Rain”, che parte con un semplice suono di pioggia percussivo prima che un sintetizzatore si unisca alla voce di Tina, gli anni '80 sono ben presenti per la scelta dei suoni e delle sezioni strumentali, il che lo allontana un po' dalla versione originale del 1973 di Ann Peebles. Ma, a distanza di anni, unanimemente la perla più preziosa è la title track, scritta originariamente da Mark Knopfler per l'album Love Over Gold, Knopfler pensò bene che la canzone dovesse essere cantata da una donna. Il brano, dall’atmosfera dark e dal testo ambiguo, è costruito attorno a un groove da cocktail lounge con un pianoforte delicato e un sassofono ritmato. Tina offre una voce morbida e ovattata per le strofe, prima di passare a un ritornello imponente e all'assolo di chitarra di Jeff Beck per il climax del brano che racconta di una donna che rivendica il proprio potere attraverso la propria carica erotica e colpì allo stomaco una società ancora alle prese con il tema dell'autonomia femminile. Ma il passato della Turner, che era ciò per cui la cantante si rifiutava di essere messa a tacere, era ora un principio fondamentale e incrollabile della sua esistenza. Affrontò la controversia a testa alta trasformandola in un'arma: identificando la propria sensualità - spesso usata per umiliare le donne - la mutò nel proprio vessillo di sfida.
Il lato B è quasi tutto di cover, con risultati alterni. Se il successo di Al Green “Let's Stay Together” si sposa benissimo con la voce di Tina, la versione di “Help” dei Beatles, dolce e suadente, mi lascia la voglia di sentirla mutare in un pezzo velocissimo e travolgente, ma invece è e rimane una ballata. Molto meglio “Better Be Good To Me”, cover di un singolo poco conosciuto del 1981 della band statunitense Spider, che è diventato uno dei suoi classici nei concerti dal vivo. Ancora meglio l’inedito “Steel Claw” con una bella chitarra elettrica e la Turner che canta a ritmo sostenuto. Questo è il rock di Tina che ha marchiato a fuoco gli anni ‘80 e funziona molto bene vocalmente con la musica che si limita a seguire. In omaggio al Duca Bianco e all’anno di pubblicazione, si chiude con “1984”. Questa cover porta con sé un forte sound alla Heaven 17 e personalmente non mi fa impazzire anche se evidenzia la ricchezza del disco e la volontà di abbracciare influenze diverse. Seguito da un tour mondiale di 177 date sold-out, l'album non è stato solo un colossale successo commerciale, ma anche il riscatto personale di Tina Turner. Dopo essersi ripresa dalla condizione di cantante da night senza un soldo è diventata una delle artiste di maggior successo della storia e un modello adorato da milioni di persone. “Private Dancer” fu il fondamento di tutto.
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