Ci sono parecchi modi di proporre un disco a cappella: innanzitutto puoi scegliere se farti aiutare da "specialisti" del canto in coro o meno. Rundgren sceglie, nel 1985, di far tutto da solo, ché tanto la voce lui se la incide-reincide-sovraincide quanto gli pare e piace da sempre. Eppoi Todd s'è solo stancato di suonare, non di cantare... Se dunque sei un cantante volenteroso ed un grande produttore, hai ancora un mucchio di scelte da fare, su come tirar fuori il tuo disco a cappella. Puoi farlo, ad esempio, classico o più audace. Todd non se lo chiede nemmeno: è naturale che un disco a cappella, per un virtuoso e polistrumentista affermato da un decennio, sia già di per sé prova di coraggio, quindi se s'è fatto trenta...
Il titolo di questo disco dovrebbe dire tutto, ma affiancato a "Todd" ed a "Rundgren", "A Cappella" si dovrebbe leggere "le canzoni eseguite a cappella secondo il modo che Todd Rundgren ha di intendere la musica a cappella"... Ed un visionario-pazzo-genio-genio incompreso-genio incomprensibile-a wizard-a true star come Rundgren, se decidesse di tirar fuori un album a cappella, avrebbe più di una possibilità, più di uno stile da scegliere, tra quelli degni di una "riadattata"...
Potrebbe dedicarsi al suo soffice soul, che magari finirebbe per sembrare un po' spiritual ("Pretending To Come"), o magari al chill ("Last Horizon"), od ancora approdare al gospel puro ("Hodja"), non brillando certo per originalità ma andando sul sicuro; oppure potrebbe filtrare la sua voce, manipolarla, masturbarla, fino ad arrivare ad un orgasmo d'antimusica, antimelodica, anticanzone, antistruttura ("Miracle In The Bazaar"), anche se così facendo rischierebbe di finire un po' troppo fuori dal sentiero.
Potrebbe intonare inni da lavoratore salariato americano che torna a casa al tramonto lungo la via, e canta coi compagni la canzone folk senza chitarrine, ché non c'è nessuno che si porta d'appresso la chitarra, se deve lavorare ("Honest Work")... Potrebbe dedicarsi al suo surf anni '60 (gli amati Beach Boys sanno bene cos'è un coro!), ma infondo sbaglierebbe ("Mighty Love"); oppure approfondire le sue esigenze d'esotico (e se dico esotico non intendo bossanova e tex-mex), magari prendendo lo spiritual e che ne so?, il reggae, sposarli e farli andare in viaggio di nozze a trovare Mamma Africa ("Johnee Jingo"): sono convinto che sarebbe sì troppo strano per uno che ha all'attivo venti dischi di pop rock, ma anche che stupirebbe in positivo!
Prendere la sua voce e trattarla fino a darle il suono delle plasticose tastiere anni '80 non è male, ma nemmeno la si può considerare una novità. E' solo che, mentre gli altri hanno tastiere che suonano come bocche plastificate, Todd avrebbe una bocca plastificata che suona come una tastiera ("Something To Fall Back"), ma che differenza ci sarebbe, in sostanza, a prodotto finito, tra il "Todd Rundgren's A Cappella Sound" ed il normale pop del tempo?
Ed allora cosa rimarrebbe per fare un lavoro ardito ma non incoerente con la passata produzione; diverso da sé e lontano pure dagli altri artisti; audace ma non proibitivo; accessibile ma non prevedibile? Ma certo! Il suo hard blues! Renderlo liofilizzato, "industrial-izzarlo", metterci percussioni (sempre "vocali", ovviamente) sintetiche, false, ossessive e senza tregua ("Blue Orpheus"), magari piazzandoci sopra pure qualcosa di non previsto, come per esempio una rappata, o più finemente una spoken word recitata ("Lockjaw").
Si! Questa è la strada migliore: l'industrial hard blues... Ma Todd ha preferito, in "A Cappella" del 1985, tirar fuori il solito prodotto di sempre, e cioè ha messo su la solita multinazionale di stili, dando ad essi un minimo comune denominatore: la mancanza di strumenti, vuoto colmato (e non sempre totalmente) dalla produzione.
Allenamento? Esercizio di stile? Esperimento fine a se stesso? Scommessa con gli amici in stato di ebbrezza alcolica? Sicuramente grande occasione sprecata.
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