Siamo banali purtroppo, lo so, siamo succubi di questa grettezza, lo siamo di più noi che viviamo sulla statale. Ci sono opere più raffinate, lo so, opere che hanno spessore, e quanto sono insulse queste raccolte di vecchi successi, lo so, lo so..

Ci son certe cose però che sollevano la pelle e sfiorano i nervi, che null’altro può descriverli se non il sentimento e la disillusione, e questo povero disco è uno di quelli. Quando siamo soli, ai margini di questa società sbilenca, in queste sere piovose in cui ci sentiamo lasciati, emarginati, al bordo, quando ci fan sentire sporchi e codardi, quando niente gira per il verso giusto e non c’è proprio alcun motivo per divertirsi, quanto aiutano queste note dolenti. Non sublimi, per carità, disperate piuttosto.

E mi chiedo quanto riuscirò a piangere ancora da solo in questa casa, guardando questi luoghi disgraziati e schifosi, sentendo il rumore del traffico morire e uccidere. Mi chiedo quante volte riuscirò ancora a rincasare, lasciando la stazione e i suoi binari lucidi, facendomi affascinare. Ogni inverno, inverno dopo inverno. Io, senza un auto, a piedi in mezzo all’aria bagnata, all’acqua sollevata dai veicoli che scorrono strafottenti al mio fianco, quante volte sopravviverò questa umiliazione.

E quanto fascino in queste note, in questi ingialliti tasti di pianoforte, quando la luna, la sera, anche sopra la statale, fa capolino alla mia finestra, dietro la fatiscente serranda, mi viene a trovare, a rincuorare, a stringermi nell’abbraccio di vita che m’è sempre mancato. Lo so, altre mille parole andrebbero spese per altre opere di questo cantore del margine, ma queste note evocano ricordi che strappano malinconia e ferite già aperte nell’anima e mi fanno star male, mi affogano, mi soffocano di pianto.

Venite o spiriti malati, adunatevi qui negli inferi del suburbio, venite e cancellate tutti gli scempi, i ricatti e i soprusi che questi vigliacchi stanno compiendo, venite e rifatevi pure su di loro, che hanno dimenticato la sensibilità, l’hanno dimenticata e venduta all’Avere per pochi soldi, condannandovi, relegandovi, affliggendovi.

Venite, c’è qualcuno ad aspettarvi.

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