C'è questo paese del mondo dove ogni possibile forma in cui si è espressa e si esprime la creatività umana viene attentamente osservata, studiata e conservata, e in particolare la creatività musicale viene «amorevolmente tenuta in vita» (cit. Il testimone di Pif) continuando non solo a suonarla, ma soprattutto a usarla, e questo paese è il Giappone. Lo stereotipo del giapponese che fa le foto è la superficie sotto cui bisogna vedere per capire che cosa sta facendo veramente: sta documentandosi per imparare e riutilizzare quello che ha imparato per poi poterlo applicare ai suoi scopi. Ed ecco com'è stato possibile che un paese che fino alla fine del XIX secolo viveva ancora in un medioevo completamente isolato dal resto del mondo, e che ha subito pure un bombardamento nucleare, sia riuscito in pochi decenni a diventare una delle principali potenze del mondo. Lo spirito dell'osservare per imparare per applicare è utilizzato a tutti i livelli, anche quelli più popolari: ad esempio, la musica pop e rock giapponese è perfettamente parallela a quella del resto del mondo e molti occidentali, ascoltandola, ci sentono echi delle fonti originali; sì è vero, forse i giapponesi inventano di meno, ma sanno applicare molto bene quello che inventano gli altri (è la teoria del nerd e del geek). Prendiamo un esempio lampante: Tomoko Kawase, aka la vocalist dei the brilliant green, aka una delle migliori incarnazioni del brit-pop su suolo nipponico. La bella Tomoko ha pure una carriera solista, che però è doppia: quando incide roba pop si firma Tommy february6, quando si dedica al rock si fa chiamare Tommy heavenly6 e in questa veste è stata indicata più volte come «la Avril Lavigne giapponese». Ora io sfido Avril Lavigne a produrre mai, nella sua intera carriera, un brano di qualità minimamente accostabile a quella di Lollipop Candy♥BAD♥girl.

Scritto su commissione dall'azienda di liquori Jose Cuervo (quella della tequila Especial) per il party di Halloween del 2006, Lollipop Candy♥BAD♥girl è una delle creature musicali più strane mai partorite al mondo nell'ambito del pop-rock: si tratta di un brano lungo 10 minuti e mezzo composto da un curioso ibrido fra una marcetta militare, un valzerino filastroccato e un refrain pop punk. La tripartizione del brano è nettissima con le tre parti che non si fondono l'una nell'altra, ma bensì finiscono, c'è una semibreve di silenzio e comincia la parte successiva; il testo invece è continuativo e molto semplice, c'è lei che sta organizzando la serata di Halloween dove sogna d'incontrare il principe azzurro e vaneggia del Lollipop Candy Land (viva la tequila). Il risultato è spiazzante: l'arrangiamento varia dai tamburi iniziali all'organetto mediano alle chitarre conclusive, il testo è tutto mischiato con frasi mezzo in inglese e mezzo in giapponese, partono i coretti e gli effettini più ridicoli, in apertura e chiusura di canzone ci stanno pure tuoni e fulmini a rendere il tutto più halloweenoso. Una cosa folle. A rafforzare ancora di più l'impressione che si tratti di una roba prodotta sotto il pesantissimo effetto della tequila è l'artwork del singolo, fatto con foto (artatamente) fuori focus e calibratura cromatica, (artatamente) mal ritagliate in Photoshop e accostate (artatamente) alla meno peggio, ma soprattutto il videoclip: è così brutto da essere meraviglioso, un capolavoro. Ovviamente brutto apposta, eh, con computer graphic di serie Z che manco nel 1979, un green screen che mia nonna lo saprebbe far meglio, stacchi d'inquadratura incoerenti con l'audio, figuranti con costumi comprati da Lidl, fotogrammi fissi, dettagli terribili come la luna fatta con una pallina di gelato su cui cola la tequila, scenografie rimediate non voglio sapere dove e altre amenità che rendono il tutto un cult totale. Giusto i costumi di Tommy paiono minimamente curati, e sono ovviamente tre da strega, Cenerentola e principessa (?). Il tutto prodotto e realizzato da Tomoko con le sue manine, artwork e videoclip compresi.

Rullante della marcetta proveniente dritto dritto da una high school americana, ritornello che son quattro accordi in croce che però sono accostati bene e funzionano come uscissero da un garage californiano, testo appiccicoso in maniera irritante: forse un mix inedito, probabilmente uno dei brani con il rapporto semplicità/effetto più sballato, di certo una cosa un bel po' eterogenea e lontana dai nostri standard occidentali, pur derivandone le singole parti (ma la somma vale di più). Avril Lavigne saprebbe fare altrettanto? Mah, improbabilmente, e per una serie di motivi che vanno dal suo proprio talento alle costrizioni delle case discografiche occidentali che da qualche anno preferiscono puntare solo sul sicuro senza arrischiarsi a sperimentare qualche bizzarria, o se lo fanno è solo perché anche la bizzarria è puntare sul sicuro (leggi: Lady Gaga che tutto quel che fa indossa canta l'han già fatto indossato cantato altri prima di lei). Se il metodo del copio-per-rifare-uguale è solo una squallida tecnica da fabbrica cinese, il metodo del copio-per-imparare invece funziona e non solo qui nel pop rock, né solo nella musica, ma in ogni disciplina umanistica e scientifica. Bruno Munari direbbe che c'è qualcosa da imparare in tutto ciò.

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