Partiamo subito col dire che ci troviamo lontani dalla "ragazza con piano" degli esordi e che ci troviamo, invece, di fronte ad una donna sulla cinquantina che ha capito che i concept album non sempre sono come li avevamo immaginati e che mettere in un album tutte le canzoni scritte nel periodo, per quanto prova di prolificità, non sempre giova all'insieme.

Di lavori ottimi ce ne sono stati, come "Boys for Pele", "From the Choirgirl Hotel" o "Scarlet's Walk", e anche in "American Doll Posse" e "Abnormally Attracted to Sin" si trovava qualche canzone particolarmente catchy come "Teenage Hustling", "Big Wheel", "Welcome to England" o "Fast Horse".

Poi è arrivato uno dei più grandi sbagli che si possono commettere nella vita: "Midwinter Graces", l'album di Natale che, con una manciata di inediti e una serie di canzoni da ascoltare sotto l'albero, si riproponeva di aprire la strada al più ambizioso concept della storia.

Appunto "Night of Hunters" che si può dire parta con gli intenti più nobili di fare pace con la musica classica tanto disprezzata in un primo periodo e poi, arrivi a rivelarsi quello che è, un fallimento.

Non stanca però dell'esperienza orchestrale incide "Gold Dust", collection di hit (nemmeno scelte con grande criterio a mio parere) per la Deutsche Grammophon, poiché ancora alla ricerca della giusta ispirazione per un nuovo disco di inediti.

Per fortuna questa astinenza dalla scrittura ha giovato a questo quattordicesimo album, "Unrepentant Geraldine", che segna un'evoluzione(o un'involuzione positiva se così possiamo chiamarla) verso un sound che non risulta né troppo artificioso e pop né troppo contorto e intimo, ispirato ai pittori impressionisti e all'arte figurativa più in generale.

Una tracklist di quattordici brani dignitosi -con alcune evidenti vette, mitigate da brani ispirati ma un po' tutti uguali- in cui possiamo trova alcune reminiscenze del passato alternative mescolate alle più recenti influenze della musica da camera, il tutto in una nuova concezione pacata e dai suoni puliti.

Sicuramente merita il singolo "Trouble's Lament", in cui possiamo sentire la voce della Amos almeno parzialmente "guarita" da quel tono vezzoso che l'ha assalita dal trascurabile "The Beekeeper", accompagnata, oltre che dal piano, anche da delle piacevoli chitarre acustiche. Altro pezzo che colpisce per il sound fresco e spensierato è "16 Shades of Blue", mentre poco più avanti nella tracklist troviamo una ballata che rimanda molto a "Night of Hunters", "Selkie". Decisamente accattivante, senza però entrare nell'alternative rock vero e proprio, è la titletrack "Unrepentant Geraldines", di cui trasportano i cori. Verso la fine c'è poi "Rose Dover", che rimanda, anche se alla lontana, le atmosfere di "From the Choirgirl Hote"; notiamo poi con sollievo che la voce della figlia della Amos, che canta solo in un brano in questo disco, è anch'essa migliorata e finalmente riesce a trasmettere qualcosa.

In conclusione un buon album, che non sorprende ma rassicura, e testimonia che dopo una serie di scelte sbagliate e guidate dal marketing si possono trovare anche delle soluzioni che tutto sommato non risultano così catastrofiche. Consapevoli che la Amos, anche con tutta la buona volontà del mondo, non sarà mai più quella di "Under the Pink" o "Bpys for Pele", la prendiamo per come è ora, finalmente al meglio dopo qualche anno decisamente buio.   

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