Le copertine dei dischi a volte ritornano, anche dopo che sono morte e sepolte nei nostri ricordi proprio come i fantasmi.
A questi mi ha sempre fatto pensare l'inquietante e falsamente bucolica foto dello studio Hipgnosis, soprattutto quando ho scoperto quel conturbante libro ambientato nella campagna inglese che è "Giro di vite" di Henry James. Una giovane istitutrice scopre il segreto dei due bambini a lei affidati, fratello e sorella schiavi del desiderio di ricongiungimento delle anime separate di due amanti lussuriosi morti in circostanze tragiche. A questo punto comincerete a chiedervi cosa c'entra con il disco...
Eppure c'entra: i Trees sono un quintetto inglese di secondo piano del folk rock britannico dei primi anni settanta, giusto dietro ad altre grandi formazioni come Fairport Convention e Pentangle. Magari la splendida voce di Celia Humpris può soffrire a confronto delle campionesse Sandy Denny o Jacqui McShee, ma è dotata di una sensibilità tutta propria come si può ascoltare nella meravigliosa "Polly on the Shore", conclusa dal malinconico assolo elettrico di uno dei tre chitarristi, Barry Clarke, intriso di umori psichedelici. Del resto in un gruppo del genere, nel quale era pregnante un folk acustico senza uso di fiati, sono proprio le chitarre a creare l'atmosfera giusta per sognare sullo stile delle ballate del nuovo country americano come nel traditional "Geordie", con tanto di slide finale, o l'allegra e saltellante "Little Sadie".
Questo era il secondo album dei Trees uscito sulla scorta del primo "The Garden of Jane Delawney" e come il precedente è basato sull'alternanza di originali e traditionals, ma stavolta resi leggermente più "robusti" dall'uso della chitarra elettrica. "Murdoch" evidenzia questa flebile evoluzione con una cavalcata la cui tensione è sempre stemperata dalla bella voce di Celia.
La corale "While the Iron is Hot", arricchita dall'orchestrazione degli archi, sfocia in un tagliente assolo della solista supportata dal vitale drumming di Unwin Brown. Un'altra composizione degna di nota è la cupa "Fool" dove risaltano le qualità compositive di Bias Boshell in una ballata condotta dal pianoforte e dalle divagazioni slide della chitarra elettrica che confermano la validità dell'intreccio elettrico-acustico dei Trees. La lunga "Sally Free and Easy" è forse un episodio annegato in un arrangiamento un po' troppo barocco, ma in ogni modo riesce sempre a rapire per la sua magica atmosfera concentrata essenzialmente sul lavoro pianistico di Boshell e sulla voce di Celia Humpris.
Le magre vendite dei due dischi consigliarono la casa discografica a non supportare più il gruppo dopo questa seconda prova ed è un peccato che personaggi di questa caratura tecnica siano praticamente dimenticati. Ma a volte ritornano proprio come i fantasmi e dove meno te lo aspetti, magari appena un anno fa rinchiusi in una campionatura degli Gnarls Barkley nel loro stravenduto St. Elsewhere.
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