Rintocchi di campana, un canto gregoriano che si disperde nei riverberi delle anguste sale di un convento, monaci che accorrono in lenta processione. Poi, una badilata di chitarra sulle nostre orecchie, e una voce bianca che, di contro, si eleva e fugge dalle basse frequenze. Si spalancano le porte dell'Ultraterreno, la musica dei Tristitia è una rinfrancante passeggiata fra le croci, nei cimiteri ricoperti da un candido manto di neve, d'inverno; fra le tombe riscaldate dal sole tiepido di primavera, fra le foglie secche d'autunno. Tombe ricoperte d'edera, arse dal sole infuocato d'agosto, statue di pietra chiazzate di muschio e bagnate dalla rugiada del mattino.

"Crucidiction" non appartiene a questo mondo, è di un'epoca dimenticata, carpisce l'Eterno, la fine di ogni esistenza temporale. La batteria è il trascorrere vano dei secoli, una lenta processione verso il Niente. La staticità dei feedback che si accavallano è il filo a cui la nostra esistenza pende, la fragilità della corda della Vita che può essere recisa in ogni istante. Non ci sarà tuttavia da spararsi al termine di questi angoscianti minuti. I Tristitia sanno suonare, compensano la pesantezza del loro doom con l'eleganza, che però non è l'eleganza romanticheggiante dei My Dying Bride.

Non riconducibili ad alcun big della scena gothic/doom degli anni novanta, i Tristitia, dopo un esordio piuttosto acerbo, ci consegnano nel 1996 il loro capolavoro, destinato a rimanere tale per sempre. Un'opera che non può invecchiare perché nata decrepita. O condannata all'immortalità. Un lavoro compatto, ripulito di tutte le sbavature e le dispersioni del passato. Un percorso che procede ordinatamente verso il buon doom di una volta, quello che ti esaspera, quello poco ammiccante, quello che punta direttamente alle palle.

Il fatto è che i Tristitia hanno fantasia, ed è per questo che al termine dell'ascolto non ti spari, ma anzi ne vorresti ancora. E' il doom ad essere un genere dalle potenzialità infinite, e Luis B. Galvez lo sa. Galvez è un virtuoso delle sei corde, e i puristi del genere potrebbero accusarlo di leziosità, ma in realtà è un piacere farsi da lui condurre per marci arpeggi, ritmiche al rallentatore, assoli che non finiscono mai. Le ossessioni chitarristiche del Paradiso Perduto sono un punto di riferimento evidente, ma il discorso va oltre, nella cura certosina dei suoni, negli intrecci cristallini, nelle stratificazioni delle decadenti linee melodiche, che seguono strutture articolate ed imprevedibili, a tratti claudicanti, sporadicamente interrotte da suggestioni acustiche e frasi di pianoforte. La classe sopraffina che trascende i generi e regala emozioni sottoforma di note.

E poi c'è Thomas Karlsson che è un tenore, un tenore che però ha il vizio di tramutarsi improvvisamente in satanasso, convertendo repentinamente i maestosi gorgheggi da oscuro sacerdote in un uno screaming bavoso da vecchietta posseduta. Prende il doom per il collo e lo strangola finché gli occhi non escono dalle orbite e la bocca vomita black metal deprimente e rallentato.

I Tristitia sono svedesi, e si sente. Si sente in quell'impostazione solenne ereditata dagli swedish doom gods Candlemass. Si sente dalla produzione, misuratamente ruvida, accurata, a tratti cristallina, dove ogni strumento si distingue dagli altri. Si sente infine da quel perfetto bilanciamento fra ragione e sentimento, dove la ragione è la qualità di chi sa suonare, comunicare emozioni attraverso la grammatica della musica e non colpire con facili sensazionalismi da fine millennio; e il sentimento è quello di chi non vede la tecnica come fine in sé, ma come mezzo per emozionare, distrarre, estraniare, generare visioni.

Ma non è lo spleen decadente di un giovane Werther, non è l'angoscia di un aspirante suicida. E' piuttosto l'immensità della Morte, quella di cui ci parlano i Tristitia, la caducità delle cose. Umori da inquisizione, arringhe infuocate di monaci ringobbiti e guerci che ti puntano il dito accusatore addosso, il peso schiacciante della Fede, di Dio, della Dottrina. Com'era scritto in caratteri cubitali sui muri dei borghi medioevali: memento mori.

Sfogliate l'elegante libretto interno, scorrete le foto mentre la musica scorre in voi, croci dopo croci dopo croci, una lunga processione di croci che ricordano la miserabile storia e il Destino inevitabile dell'Uomo Terreno, divorato dai vermi, poi solo cenere ed infine polvere.

Elenco tracce e video

01   Ego Sum Resurrectio (02:08)

02   Christianic Indulgence (06:50)

03   Crucidiction (06:33)

04   Wintergrief (08:15)

05   Envy the Dead (04:47)

06   Lioness' Roar (04:53)

07   Mark My Words (06:34)

08   Gardenia (02:01)

09   Final Lament (07:05)

Carico i commenti...  con calma