I Tyrant, da Pasadena, California, incarnano alla perfezione lo spirito di un certo tipo di metal. Voce stentorea, begli assoli ed un'attitudine underground come pochi. Quanto poi questa "attitudine underground" sia voluta o subita è da tutto da vedersi. Attivi, a fasi alterne, fin dal lontano 1978, praticamente dalla preistoria dell'heavy metal, nascono quasi per gioco sui banchi di scuola, per diventare qualche tempo più tardi un'occupazione ben più seria, con i due fratelli May a farla da padroni. Nati in quella stessa scena che avrebbe dato i propri natali a gruppi ben più blasonati come Metallica e Slayer, i quattro californiani il successo degli illustri colleghi lo avrebbero visto solo con il cannocchiale, restando relegati, anche per scelte manageriali a dir poco infauste, in un "sottobosco" musicale dal quale non sarebbero mai usciti.
Arrivati all'esordio sulla lunga distanza a metà anni Ottanta dopo la solita gavetta di demo e compilation, spariscono da lì a breve, lasciando dietro di sè una discografia striminzata composta da soli due lp, "Legions of the Dead" (1985) e "Too Late to Pray" (1988), e un'infinità di occasioni perse. Quanti di voi a fine anni Ottanta, con un disco appena uscito e un nome ancora da farsi, rifiuterebbero di partire in tour con Slayer e Mercyful Fate? "Aprire per gli Slayer!? Scherziamo? Aprano loro per noi!". Risultato: gli Slayer non se li filarono manco di striscio e a distanza di venticinque anni se a qualcuno chiedi dei quattro Squartatori ti risponde "Slaaayeeer!!!", se chiedi dei Tyrant ti risponde "chi?". Ecco, come detto prima certe decisioni prese in quei tempi dalle parti di Pasadena non furono proprio delle migliori. Fu così quindi che i quattro Tiranni si ritrovarono a piedi e non restò loro nulla da fare se non appendere gli strumenti al chiodo e riporre le borchie nell'armadio. Dal nulla erano venuti ed al nulla infatti tornarono, facendo perdere le proprie tracce fino alla metà degli anni Novanta. Ogni fenomeno sociale non è altro che una reazione a quello che lo ha immediatamente preceduto, giusto? E in un mondo in cui regnavano incontrastati rapper con la maglietta dei Metallica (sarebbe il nu-metal) e finto-depressi in flanella (e questo sarebbe il grunge), cosa poteva tornare in auge se non l'heavy metal degli anni Ottanta? Anzi, il power metal europeo, ovvero una versione ultra-vitaminizzata di quella che ai tempi d'oro era stata la lezione di Iron Maiden ed Helloween: se i secondi infatti si ritrovarono a vivere una seconda giovinezza con l'arrivo alla voce di Andi Deris, altre formazioni di valore non stavano certo a guardare e l'Europa fu letteralmente presa d'assalto da Stratovarius, Blind Guardian, Gamma Ray ed Hammerfall.
In un clima del genere poteva non esserci una seconda possibilità anche per i nostri Tyrant? Ed ecco quindi che, con il fidato Bill Metoyer dietro la consolle, i Nostri si ripresentano nel 1996 con questo "King of Kings", album che, se da una parte si distingue per le sue interessanti liriche a sfondo sociale e religioso, dall'altro da quasi l'impressione che il tempo si sia fermato al 1988, sia per la proposta musicale che per il suono scelto in studio. Dopo la intro di rito, ovvero il terzo "episodio" di quella "Tyrant's Revelation" che accompagna i californiani fin dagli esordi, si parte subito con il brano che da il titolo al lotto, ovvero "King of Kings", autentico bignami della proposta dei quattro. Voce impostata ed evocativa, invocazioni all'Altissimo, riff potenti e una sezione ritmica che tiene unito il tutto, senza dimenticarsi del ruolo svolto dalle tastiere, presenti in momenti rari ma fondamentali per conferire al risultato finale un tono magniloquente e affascinante. Tanto "Fast Lane" sembra appena uscita da un disco dei Kiss dei primi anni Ottanta, tanto pezzi come "Ancient Fire" e "Dance with the Devil" ribadiscono quanto detto in apertura, con un metal che riesce ad essere atmosferico e suggestivo senza alcun bisogno di articolate orchestrazioni e produzioni milionarie, mentre invece pezzi come "Nowhere to Run" si pongono in pieno nel filone del Christian metal. Proprio per quanto riguarda la produzione va detto che questa è decisamente low-fi, francamente non si quanto per scelta o per necessità, e che, se da una parte rende spesso ovattati e poco nitidi i suoni, rendendo spesso difficile apprezzare l'operato dei singoli, dall'altra conferisce al tutto il fascino tipico di certi lavori, per forza di cose destinati ad essere appannagio di un pubblico di nicchia e ben circoscritto. Con "Tighten the Vice", scandita da un ritmo quasi marziale, e la struggente "Coast to Coast", messe praticamente in chiusura, si conclude un disco sicuramente buono, di certo non un capolavoro, ma comunque un bell'esempio su come intendere un certo tipo di musica, fatta di tanta passione e dedizione, consci che le luci dei grandi riflettori saranno sempre e solo per qualcun altro.
Dopo quest'album il nome Tyrant sarebbe tornato a circolare, con diverse date sia negli Stati Uniti che in Europa e con tanto di partecipazione al tedesco Bang Your Head!, anche se di nuovi album, almeno fino a questo momento, non se ne è mai parlato. Chissà se a questo punto, consci che il treno del successo è passato oltre venticinque anni fa, la sorte non dia una seconda possibilità ai Tyrant e che la storia possa riprendere lì dove si era interrotta: difficilmente scriveranno mai un capolavoro, ma si sono resi sempre protagonisti di un heavy schietto e sincero, offrendo album piacevoli anche dopo molti ascolti.
Tyrant:
Glen May, Voce
Rocky Rockwell, Chitarre
Greg May, Basso
Tom Meadows, Batteria
"King of Kings":
1. Tyrant's Revelation III
2. King of Kings
3. Fast Lane
4. Dance with the Devil
5. Ancient Fire
6. Nowhere to Run
7. When Night Falls
8. Tighten the Vice
9. Coast to Coast
10. War
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