Gli Ulver sono la dimostrazione vivente che la musica non ha ne confini ne tantomeno generi.
Nati come band Black Metal dopo aver sfornato uno degli album piu’ “marci” del genere (Nattens Madrigal) “impazziscono” e passano all’elettronica sperimentale. Dopo un album di passaggio (l’interminabile Marriage Of Heaven and Hell) ed uno interlocutorio (l’EP Metamorhosis) sfornano l’incredibile Perdition City. Ed è un vero album Black metal senza chitarre a “zanzara” (ora mi piego per scansare gli insulti).

Ok, l’affermazione è parecchio provocatoria, ma ascoltare di notte questo Perdition City, magari in una serata di pioggia, genera in me le stesse sensazioni di smarrimento, freddo, gelo, che mi provoca l’ascolto di icone black come Darkthrone, Emperor, Burzum e soci... D’altra parte gli Ulver hanno dimostrato di saper creare atmosfere cupe come pochi altri, e i due successivi album di colonne sonore sono li a dimostrarlo. Cosi questo Perdition City recita in copertina, come a voler rendere palese questa loro abilità, “music to an interior film”.
Cosi ci si ritrova, nostro malgrado, protagonisti di questo lungometraggio dell’oscuro, questo viaggio nella città della dannazione eterna (Perdition=Hell=Inferno), senza scampo, senza futuro, solo angoscia.

Ad accoglierci nella città dei dannati è il gelido sax di “Lost in moments”, forse la miglior traccia dell’album, in grado di spegnere sin da subito ogni speranza su quale sarà la nostra fine al termine del nostro soggiorno a Perdition City. Le tracce seguenti continuano a portarci nei meandri piu’ scuri della città e del nostro io fino all’apocalisse elettronica di “The future sound of music”, vero inferno di suoni e macchinari. Qui l’album potrebbe concludersi, l’inferno ha catturato l’ascoltatore/protagonista risucchiandogli l’anima. The end, cala il sipario.
Ma gli Ulver strafanno, e ci propinano altre 4 tracce un po’ fuori linea con quanto fin qui delineato, si tratta di pura sperimentazione, distorsioni e sfrigolii elettronici, campionamenti mischiati ed incrociati in un pandemonio sonoro. C’è comunque spazio per una buona “Catalept”. Chiude la piu’ solare “Nowhere/Catastrophe”. Che gli Ulver con questa traccia abbiano voluto lasciare un minimo di speranza all’ascoltatore proponendoci questa sorta di finale alternativo piu’ roseo?

In conclusione Perdition City è un viaggio senza ritorno nei meandri più oscuri del nostro io, viaggio che per me finisce con la traccia 5.
Ah! Ultimo consiglio datoci dagli stessi Ulver in retrocopertina: Headphones and darkness recommanded. E buio sia...

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