Il Nome della Rosa, Umberto Eco (Ita) 1980 Edizioni Bompiani

"che cosa serve recensire qualcosa su cui è già stato detto tutto, come "Il Nome della Rosa", recensisci qualcos'altro" (Fusillo)

"beh, se è quello che mi piace di più di Eco insieme al pendolo non vedo perchè non dovrei recensirlo, potrei recensire "Il Pendolo di Foucault..." (cptgaio)

"ma anche su quello è già stato detto tutto" (Fusillo)

"eh vabbè vorrà dire che verrai a mettermi 1" (cptgaio)

"di sicuro" (Fusillo)

"ma che Eco ed Eco, recensisci Faust'o... quella si che è vera cultura!" (Iside)

 

Premessa (ovvero, ma perchè vuoi farti del male?)

La premessa che mi viene spontanea parte dal dibattito (più che giusto nel suo scatenare interessanti quesiti) sull'utilità di recensire "classici", visto che degli stessi, appunto, ogni cosa è stata sviscerata, ogni parola "criticata" e ogni fine discusso. L'opinione che ho in proposito si basa su tre precetti fondamentali:

A) Se diamo per buona questa ipotesi il 70% delle recensioni su DeBaser non serve a nulla visto che esistendo (correggetemi se sbaglio) dal 2001 arriva un bel pò in ritardo rispetto ad un bel pò di Critica Classica (userò molte maiuscole apparentemente casuali in questa recensione, mi affido alla vostra perspicacia e/o alla vostra benevolenza) e quindi con un pesante fardello di cose già dette ma...

B)...ma sappiamo che DeBaser non è un Sito di Critica qualunque perchè su ste pagine "Ciascuno deve trovare ciò che vuole, anche con feticismo, anche come un lurido voyeur, come il più gretto dei guardoni di anime. Ma anche no." Quindi un mediocre e neppure tanto simpatico recensore come il sottoscritto dispone del libero arbitrio nello scegliere tra le due opzioni: sapendo benissimo che potrebbe scatenare l'infallibile macchina del DeBraccio DeSecolare DeBaseriano... ma anche no.

C) Nella Storia della Letteratura esistono un casino di recensioni su libri che non esistono: non vedo perchè non posso scriverne una su qualcosa che esiste eccome (per le cose che non esistono mi sto attrezzando). Lo so è un'argomentazione debole ma mi andava di scriverla.

Ricordate: qualunque cosa venga discussa, alla fine, ne rimarrà, comunque, solo il Nome...

 

Analisi (a)Critica de "Il Nome della Rosa" di Umberto Eco e senza menzionare la trama tanto la conoscono già tutti...

"Il Nome della Rosa" è un romanzo tanto bello quanto è finto e "costruito".

A farla breve le recensione potrebbe esser già conclusa qui: perchè dal punto di vista critico questo romanzo nasce già "morto", per il semplice fatto che già nel 1983 (ad appena tre anni dalla pubblicazione e sappiamo bene che un libro non è un disco e tre anni sono un tempo minimo in letteratura) lo stesso Eco, nelle famose "Postille", scrisse la migliore delle possibili analisi critiche alla sua opera. In una apoteosi apparentemente onanista (si può dire?) che purtroppo risultò antipatica alla maggioranza dei contemporanei e la cui grandezza fu capita solo, probabilmente, al volo dalla generazione successiva di lettori (io lo lessi nel 1985 ma ero giustificato perchè troppo piccolino per capirle fino in fondo).

Eco nelle postille dice molte cose: che ambientare il romanzo nel Medio Evo era una cosa naturale perchè era di vocazione un medievalista, che non ci si doveva far traviare troppo dalle similitudini tra il personaggio di Jorge da Burgos ed il grande (e allora vivente) Borges (con tutti i richiami del caso a "La Biblioteca di Babele"), che la trama poliziesca nacque dall'innato desiderio di avvelenare (in letteratura) un monaco (e qui non so se solo io ho colto un omaggio ad Agatha Christie) e tante altre belle cose ma su tutte la principale e cioè, e anche se non detto direttamente, che "Il Nome della Rosa" altro non si trattava che di una, bonaria ed in buona fede, truffa.

Con questo libro infatti l'autore fece il "salto": passò dai testi universitari e dalla saggistica colta, di semiotica ed estetica, alla letteratura di massa e nel farlo propose tutti gli archetipi del caso: dal Manzoni a Dumas, passando persino da (e so che storcerete il naso perchè lo metto nella letteratura "leggera") Cervantes. Ma non contento rimase, ma elegantemente, con il piede in due staffe ed ammiccò, anche, a tutta quella genia di lettori dai gusti "difficili", mettendoci tutte le attrattive possibili: dall'uso promiscuo del Latino alle diatribe teologiche medievali.

La cosa divertente è che di solito questi furbeschi "far contenti tutti" finiscono con il non far contento nessuno ed invece le indiscutibili doti narrative e culturali di Eco finirono per "imbrogliare" la stragrande maggioranza di chi lesse il libro (e di chi lo lesse in momenti successivi) decretandone la fama a vari livelli e assicurando al Professore Alessandrino un futuro anche come narratore ("Il Pendolo di Foucault" per certi versi è pure superiore).

So di aver detto tutto e niente ma credo che per un libro del genere questo sia il modo giusto di procedere (non vi arrabbiate se accenno appena che il romanzo si deve leggere su vari livelli: poliziesco, storico, teologico etc. etc., vero?) d'altronde lo stesso finale lo ammette: quello che scatena la violenza e la morte è un "niente" sottile ma complesso. Come può esserlo un semplice sorriso oppure una drammatica, lunga, inutile lotta per il potere.

Il fine ultimo è capire quello che delle cose, quando spente, veramente ci rimane.

 

"Stat Rosa Pristina Nomine, Nomina Nuda Tenemus" 

Mo.

Carico i commenti... con calma