Corroborato dalle ultime (eccellenti) esperienze de-recensoree sperimentali, mi inoltro nella monorecensione, ossia quella di un solo pezzo. A ben vedere, data anche la natura detonante dei suoni in questione, mi pare che "recensione a-tomica" sia la dicitura più azzeccata. Ok, sarà anche un bieco espediente per buttar giù un pò di storie su un disco già( egregiamente) in databaser senza venir tacciato di doppionismo, ma probabilmente un barlume di senso quest'operazione ce l'ha.
Ai tempi della mia giovinezza più de-viata mi avvenne infatti di maturare una insalubre venerazione per la traccia numero 12 di "Scattered, Smothered & Covered", uno dei deflagranti episodi di casa Unsane. "Swim" è il nome che si è dato a quei 226 secondi che chiudono il disco, e spengono la luce.
Figli illegittimi e rinnegati della Grande Mela, gli Insani hanno infestato, disturbato il trascorso decennio, celebrando le bassezze dell'animo umano col più sconsiderato dei rumori. Sembrano 22 ma sono 3, custodi e amanuensi delle Memorie del sottosuolo, cantori della disperazione, della rabbia inscatolata. Rabbia compressa nelle trame implacabili di chitarre straziate, percussioni maniacali, sublimata dalla voce delirante di Chris Spencer.
Chiamiamolo noise, per esempio, e allora gli Unsane sono negazione, rifiuto della forma ma anche della sostanza, violenza applicata tutt'altro che gratuita, violenza che è essenza. Chiamiamolo hardcore, o perchè no, blues, chiamiamolo come ci pare tanto non cambia, gli Unsane destrutturano e fagocitano ogni definizione, un'orgia dissacratoria.
"Swim" è un'ossessione.
Parte già con la bava, e ti è al collo in un istante, come un androide cattivo. La chitarra suona come un corpo dilaniato, Spencer ci canta su il dolore, ma anche la resistenza, perchè le fibre tengono, comunque, chissà come. E allora tutto il resto è catarsi, perchè non può essere altrimenti, il costrutto, già scarno, si dirada, e "Swim" diventa una mania. Le parole scompaiono, ormai impotenti. Il fragore è ora follemente scandito, ipnotico, un respiro di ferro che stride, un lamento sordo. Colpi metronomici, uno dopo l'altro, tetri, tra essi il silenzio. Incolmabile è lo scarto, è vero che c'è solo silenzio alle domande vere, è il buco che ci portiamo dentro, lo prenotiamo alla nascita.
Esausta, "Swim" biascica sino alla fine.
Vertigine nera, fino alle viscere, tormento non mediato, l'uomo di Dostoevskij, il suo urlo, inesorabilmente cadenzato, finito, come il tempo.
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