"Gli Unsane sono il gruppo più catastropsicotico della scena noise-hardcore newyorkese di fine millennio. E ho detto tutto." (Stoopid, utente di Debaser)
C'è un episodio dell'infanzia di Chris Spencer che mi pare a dir poco emblematico. Natale, il solito zio simpaticone si traveste da Santa Claus e bussa a casa Spencer. In tali casi la metà dei bimbi si eccita, l'altra metà piange, e comunque si approda inevitabilmente al più gioioso dei tarallucci e vino, condito da spacchettamento di regali. Ma il piccolo Chris volle pensarla diversamente, optando a sorpresa per l'aggressione al malcapitato parente, che solo per l'intervento degli astanti fu sottratto alla sua furia, cavandosela con un leggero, ma non trascurabile choc.
Cosa spinse un ragazzino a picchiare l'icona del buono, Babbo Natale? Cosa passò, in quei pochi attimi, nella mente del futuro leader degli Unsane? Attraverso un po' di chiacchiere sull'omonimo esordio discografico della band, mi propongo di abbozzare una spiegazione a quel singolare avvenimento.
"Oddio, mi fa male la testa (ride), devo ammettere che è proprio una bella scarica di energia. Simpatici, assomigliano quasi, ai… come si chiamavano… oh sì, i Nirvana (sviene)". (Antonella Mosetti, soubrette, dopo un ascolto forzato di questo disco)
Quel che si chiama Unsane nasce nel 1984 a pochi metri dal Bronx. Chris Spencer voce e chitarra, Peter Shore al basso, Charlie Ondras alla batteria. La scena hardcore di quella New York, si sa, era uno spettacolo, penso spesso a quanto sarebbe stato figo essere adolescente lì, stare sotto i palchi di Swans, Sonic Youth, Helmet e poi Quicksand e quant'altro. Ma se potessi spendere un gettone per un viaggio spaziotemporale sceglierei una live session degli Unsane, una delle tante occorse tra il 1984 e il '91, quando si dà alle stampe il primo, omonimo disco. Sette anni di incubazione, sette anni di efferate, raccapriccianti jam session, e cassette sparse in giro per i sottoscala della Mela, prima di trovare il gancio giusto. E' fatta, ora ci trovate nei negozi di dischi, seguite l'ordine alfabetico, siamo dopo gli U2.
"Devo averli ascoltati quando pesavo 80 chili in più. Me li passò un mio amico metallaro (sic). Picchiavano duro! (ride, e ammicca alla telecamera)" (Tiziano Ferro, cantante)
Sarà stata la lunga attesa, l'urgenza espressiva, fatto sta che questo esordio degli Unsane mi pare tuttora insuperato. Una mitragliata di rumore, violenza inaudita che ti si rovescia addosso senza alcun preliminare. La voce filtrata di Spencer è un delirio ininterrotto, fomentato da una chitarra raggelante e ossessiva. Gli altri due rincarano la dose con suoni scarni e brutali, alimentando una tensione infinita, ridondante, assolutamente senza approdo. Sì perché sia chiaro, non c'è scampo, lo scenario unsaniano è inospitale, inadatto a qualsivoglia struttura melodica, freddo come un'autopsia. Come quando aspetti la metro preso da chissà quali pensieri, e un tipo preso da chissà quali pensieri arriva dietro di te e ti spinge sui binari proprio mentre passa il treno. L'attimo dopo ve lo racconta la copertina del disco, direttamente dagli archivi del NYPD, basta conoscere lo sbirro giusto ed è fatta.
"Non li conosco (ride inebetito, tossicchia). Ora voglio solo tornare a casa, staccare a uno a uno i dodici allarmi, e camminare scalzo sul mio tappeto di cammello innamorato scuoiato. Meglio di uno spiniello di fumo." (Pino Daniele, rockstar)
Un tempo gli Unsane erano il mio pane, oggi sono un lusso che mi concedo in momenti di particolare gaiezza. Ma da sempre, ad ogni ascolto ho la sensazione di stare con la mia band preferita. La forma scabrosamente essenziale, una classe smisurata, ma soprattutto il diniego totale del compromesso, vizio così diffuso tra noi bipedi. Interpellato sull'unicità del suono Unsane il grande Chris risponde sempre allo stesso modo: "E' perché siamo onesti".
"Anche troppo" (Lo zio di Chris Spencer)
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